La solidarietà è un’arma di Resistenza!

Sono passati dieci mesi da quel 12 giugno, da cui tutto è cominciato. Il confine di Ventimiglia, la protesta, gli scogli, la solidarietà internazionale e poi il presidio permanente: cento giorni di lotta insieme ai migranti, per abbattere questo confine disumano che nega la libertà e la vita.  Da allora tante cose sono cambiate, persone in movimento hanno stretto relazioni, organizzato collettivi, condiviso informazioni, idee, e diffuso una rete di supporto ai migranti e di lotta alle frontiere, che agisce dentro e fuori i confini europei.

E le migrazioni non si sono mai arrestate. L’inverno ha significato soltanto una riduzione del flusso nel mediterraneo, e dunque un accumulo di persone sulle coste del nord Africa, in attesa di imbarcarsi. La situazione in Libia è degenerata con la minaccia di interventi massicci da parte della Nato, non appena il clima lo ha permesso sono ricominciati i viaggi e gli sbarchi nelle isole.

Il 18 aprile quattro barconi con 400 migranti a bordo sono naufragati al largo della costa, si sono salvati in 29.

Quei fortunati che riescono a raggiungere, clandestinamente, il territorio europeo, vengono innanzitutto incarcerati in strutture detentive (i cosiddetti Hotspot) senza alcuna legittimità o legislazione, privati di ogni oggetto personale e di tutti i diritti umani, poi identificati, schedati, e lasciati ad aspettare.
Che cosa? Che una commissione decida sul loro futuro di individui. Se provengono da una zona di guerra ufficialmente riconosciuta, hanno diritto d’asilo. Se invece sono in fuga dalla fame, da una guerra civile non documentata, da una dittatura che li perseguita o semplicemente sono in cerca di un luogo in cui venga rispettata la libertà, vengono caricati su un aereo e rispediti la da dove sono venuti. Di solito si tratta di quei paesi dell’Africa centrale, a quattro-cinquemila chilometri dall’Italia, da cui sono fuggiti anni prima, iniziando un viaggio che conteneva tutte le speranze della loro vita.

Bruciare i Cie! Bruciare gli Hotspot! Ma dopo?
Chi riesce a evitare l’identificazione, perché non vuole rimanere in Italia (un posto sempre più simile alla Libia), ha di fronte a se soltanto una strada: fuggire, nascondersi, restando in clandestinità e tentare di attraversare uno dopo l’altro, gli assurdi confini interni di questa Europa, più prigione che fortezza.

Nel suo viaggio il migrante in fuga incontra sempre gli stessi personaggi: il poliziotto in divisa, il soldato, il volontario della croce rossa che gli offre poco cibo in cambio di una resa, il trafficante che promette un passaggio oltre la frontiera, il fascista che gli spezza due costole di notte mentre dorme in stazione, il cittadino comune che lo guarda, lo guarda. Lo guarda e non fa niente.

Noi abbiamo deciso di agire. E agendo abbiamo imparato a guardare meglio. La rabbia si è trasformata in lotta, l’impotenza in volontà di fare. Noi crediamo che le frontiere siano il frutto della paura, dell’odio, della sofferenza degli esseri umani e vogliamo abbatterle, in senso fisico e ideale.

Solidarietà radicale significa saper comunicare, organizzarsi con i migranti, collettivizzare le risorse, autogestirle, condividere idee e pratiche, costruire una lotta comune. Significa abbattere le frontiere mentali per poter annullare quelle fisiche.
Il razzismo è il frutto marcio del colonialismo e dello sfruttamento, è la scusa, la spiegazione alle ingiustizie sociali che gli idioti danno a sé stessi, fomentati dalla propaganda fascista dei politicanti.
In controtendenza con questo, vogliamo liberarci dal pensiero coloniale che vede il migrante come un debole, una persona da gestire, al limite da aiutare, subordina la sua vita alla generosità e alla carità di chi lo accoglie.

Convinti che la Resistenza sia innanzitutto liberazione dal pensiero fascista, che esclude per identificare, uccide per vivere, immaginiamo comunità meticce, solidali, libere da pregiudizi e conflitti tra poveri, come unico futuro di pace in un mondo senza frontiere.

Noi partiamo da qui. A Ventimiglia, Calais, Idomeni, Marsiglia e ovunque, diffondiamo le reti di lotta no borders.
La solidarietà è la nostra arma contro la guerra.

We are not going back!

NoBorderLAB