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Parigi: polizia armata in corteo. Orizzonti di guerra permanente

Sono vere le notizie che circolano da qualche giorno.
Le conferme arrivano dai compagni francesi e dai loro siti di controinformazione.
 
A Parigi l’estrema destra della polizia francese sta organizzando quotidiani cortei non-autorizzati di massa, per protestare contro le politiche governative, secondo loro troppo morbide e permissive nei confronti dei manifestanti, e rivendicare le violenze subite in piazza in questi mesi di conflitto sociale.
Durante questi raduni – per di più, nel caso della polizia, illegali durante il servizio – i difensori della legge ostentano armi da fuoco automatiche, giubbotti anti-proiettile, manganelli. Molti di loro hanno il volto travisato da passamontagna, maschere e cappucci.
 
A pochi mesi dalle elezioni i gruppi “autonomi” di polizia, apertamente appoggiati dal Front Nazional, rivendicano genericamente maggiore libertà di azione ed equipaggiamenti aggiornati. Che tradotto vuol dire il diritto di uccidere, un’ancora più totale impunità dalla legge, e armi militari impiegate nell’ordine pubblico. 
 
Gli “indignados” in divisa sono stanchi dopo mesi di scontri e violenza per difendere nelle strade il governo, attaccato da ogni parte dalle forze rivoluzionarie e anticapitaliste, si trovano a protestare contro lo stesso governo: dopo aver stracciato ogni tutela sociale per la classe operaia francese, Hollande dovrebbe anche garantire il totale annientamento delle forze politiche che si ribellano a quelle scelte, concedendo alla polizia una libertà d’azione 
 
In pratica quello che viene domandato è una legittimazione – nuova e definitiva – della violenza repressiva come unico strumento reale di governo, volta al controllo della popolazione, che lentamente si sta immunizzando dai narcotici sociali per riprendersi, con la partecipazione alle lotte, fette notevoli di autonomia. 
Che sia Hollande o il prossimo governo nazista di FN ad accontentare la polizia, che questa sia la via maestra è dimostrato dall’evolversi dei fatti in questa caldissima annata francese, che sta contribuendo in misura notevole a smascherare – stavolta, forse definitivamente – la faccia oscura del capitalismo, la reale funzione del governo, la verità sulla sostanza dei rapporti di potere e sulla natura della guerra in atto. 
 
Intanto, i compagni che provano a opporsi ai cortei della polizia. Subiscono minacce, intimidazioni, sequestri fisici da parte di cordoni armati di sbirri. 
Questo il racconto di una giornata parigina sempre più tristemente tipica.
 
http://www.osservatoriorepressione.info/16901-2/

Questo avviene oggi, nel cuore dell’Europa.
La guerra permanente condotta dai governi e dalle agenzie internazionali contro il “terrorismo” (genericamente), assume chiaramente i tratti di una guerriglia interna condotta contro la propria popolazione civile per mantenerla in un costante stato di paura e inazione, favorevole al “corretto e costante sviluppo dell’economia”, il nostro dio supremo al quale sacrificare i corpi di migliaia di INADATTI; RIBELLI; EMARGINATI.  In questa epoca di mercato globale anche il terrore assume dimensione globale, e la repressione poliziesca viene normalizzata a livello sovranazionale, come principio ispiratore di tutte le nazioni e le società. 

 
E’ così che, mentre la polizia a Parigi minaccia il colpo di stato per rovesciare Hollande, pochi chilometri più a nord, a Calais, milleduecento dei loro colleghi al segnale del governo iniziano la distruzione della jungle e la deportazione di massa dei suoi diecimila abitanti. 
Questi due fatti, che appaiono incoerenti e lontani, sono invece accomunati dal loro obiettivo reale: determinare il risultato delle prossime elezioni, in cui il democraticismo ipocrita del PS se la giocherà all’ultimo sangue con i nazisti del Front National. L’uno deve mostrare di essere un vero francese cacciando i negri dal confine, l’altro di essere il vero garante della sicurezza nazionale. Sono gli effetti di una guerra intestina al sistema partitico, gli alleati politici del capitale che si spartiscono i pezzi della preda per i prossimi anni: la preda, naturalmente, sono i lavoratori francesi, i migranti, in una parola, le persone che a questo gioco non partecipano, per impossibilità o per scelta. 
 
E’ tempo di una presa di coscienza generale. Quello che accade oggi in Francia è stato definito come “laboratorio sociale di repressione”: un terreno per sperimentare in un paese europeo le forme di controllo sociale (militarizzazione in primis) già sperimentate altrove nel mondo. Ciò che avviene adesso in Francia, presto sarà replicato in tutti i paesi in cui saranno applicate pienamente le strategie neoliberiste. 
 
>>> L’appello apparso su paris-luttes.info:


“Ai nostri amici che non ripudiano la repubblica e i suoi valori, pensate ancora che questi poliziotti siano “repubblicani” nel momento in cui chiedono una separazione dei poteri meno rigida, ovvero attaccano una delle basi teoriche più importanti del sistema politico attuale?

A tutti i nostri amici, è evidente che non abbiamo saputo reagire collettivamente. D’altra parte, come rispondere a queste manifestazioni selvagge e armate? Ecco una domanda a cui dovremo confrontarci collettivamente.

Dobbiamo riportare il dibattito verso lo stato d’emergenza, i suoi abusi, la sua inutilità, e verso la polizia, i suoi metodi, le sue armi, la sua impunità.

Perché sono pochi gli sbirri che capiscono che la violenza e l’odio che ricevono quotidianamente (e contro cui manifestano) sono solo il risultato delle loro azioni, della loro impunità. E’ l’unico corpo professionale a ricevere semplici sanzioni amministrative nel momento in cui si permettono di mutilare, accecare e uccidere la gente.

Se un professore alza le mani su un alunno, sono guai. Ma morire in un commissariato invece sembra non essere un problema. Fino a che non capiranno che questa impunità è l’unica fonte delle loro preoccupazioni, il problema persisterà.

Il compito che abbiamo di fronte a noi in questo momento è pesante, e quello che stiamo vedendo negli ultimi giorni nelle strade di Parigi potrebbe essere solo un esempio di ciò che vivremo nei prossimi anni, rischiando di abituarcene.

La Francia sta diventando un laboratorio sociale di repressione.

Le ragioni per combattere non mancano.

Organizziamoci, questa volta muti proprio non possiamo restare.”

Calais: Appello alla mobilitazione contro gli sgomberi imminenti

[di Calais Migrant Solidarity]

L’imminente distruzione della jungle e la dispersione di massa forzata di persone provenienti da Calais non sono fatti isolati. Essi fanno parte di una più ampia strategia del governo francese, che lavora in tandem con altri governi per segregare, attraverso la violenza, le persone con i documenti da quelle senza documenti, il bianco e l’altro, il ricco e il povero; per bloccare le persone nei campi, nei centri di deportazione, e nelle prigioni, per costringere le persone a tornare in paesi in cui rischiano ulteriore prigionia e morte.

Il governo prianifica di fingere di dare alle persone una scelta: salire su autobus diretto verso i centri di accoglienza temporanea (CAO – centri di accoglienza) o essere espulsi dalla Francia (con un decreto OQTF). Inoltre, ci sono state deportazioni (giustificate dal Trattato di Dublino) dai CAO e non ci sono garanzie che esse cesseranno di avvenire. Alcune persone che hanno le impronte digitali in altri paesi europei, come l’Italia, sono espulsi li. Da tutti i paesi europei, i migranti sono deportati più indietro in gran numero, anche nei paesi di provenienza.

Ora sono aumentati gli arresti, alle persone viene impedito l’accesso alle stazioni ferroviarie in base al colore della loro pelle. La polizia di Calais ha ordine di eseguire almeno 80 arresti al giorno e il maggior numero possibile di deportazioni. Questo fa parte dell’operazione di sgombero. Le persone vengono catturate in massa, e il centro di espulsione a Calais è in fase di espansione.

Alcune associazioni umanitarie che lavorano nella jungle stanno collaborando a stretto contatto con il governo: invocano sgomberi «umani» o «più sicuri». Non esistono sgomberi umani! Non ci sono sgomberi sicuri!

A chi porta beneficio questa soluzione? Non a chi rischia l’espulsione, non a quelli che vogliono andare nel Regno Unito, non ai francesi oppressi dalla macchina del capitalismo, per i quali il governo non ha la pretesa di fornire alloggi sia. Godono le agende dei politici, in attesa delle elezioni. Godono le multinazionali che fanno profitti miliardari da operazioni di sgombero di massa e progetti di militarizzazione dei territori, a Calais, e altrove.

Quando avvengono sgomberi le persone sono costrette in ulteriore precarietà ed esposte a un maggiore pericolo. Se accade come previsto, ci sarà la violenza dalla polizia, e coloro che tenteranno di rimanere nella zona dovranno trovare un altro posto per dormire. Coloro che cercano questo si troveranno ad affrontare un rischio di espulsione, che la polizia eseguirà con chiunque non entri in “Accoglienza”.

Con più recinti e filo spinato, le persone cercano modi più pericolosi per attraversare le frontiere. Ci sono stati 15 morti noti al confine qui a Calais, nel solo 2016.

Le politiche oppressive di confine non sono isolate a Calais. La lotta contro le frontiere e lo spettacolo della solidarietà per coloro che sono oppressi non sono isolati a Calais. Mentre la polizia si prepara ad aumentare ancora la repressione di migranti e solidali, le persone si preparano a lottare contro l’oppressione in vari luoghi. Ci sono stati appelli in tutta la Francia per mostrare solidarietà a coloro che devono affrontare lo sgombero a Calais e combattere le società che traggono profitto qui. Questo è l’appello da Calais per voi, per combattere il meccanismo di confine nei luoghi in cui vi trovate.

Questo non significa che non si debba venire a Calais. Se siete stati qui prima, siete piuttosto autonomi e avere un’idea chiara di ciò che si vorrebbe fare, ci saranno persone che potrebbero avere bisogno di supporto durante e dopo gli sgomberi.

Se non siete mai stati a Calais prima, avete bisogno di un sacco di informazioni sulla situazione, e non avete una buona idea di ciò che si vorrebbe fare per portare solidarietà attiva a sostegno delle persone che vengono sgomberate e di fronte alla violenza del confine, ora può essere un momento difficile per arrivare.

  • Invitiamo le persone a fornire soluzioni abitative dignitose e spazi accoglienti nelle loro città perché molte persone che vivono nella jungle lasceranno Calais!
  • Chiediamo azioni decentrate nelle città contro le società che traggono profitto dalla miseria umana!
  • Chiediamo la distruzione delle prigioni e dei centri di espulsione in tutta Europa!
  • Chiediamo la solidarietà nella lotta contro il confine!

15 ottobre 2016

CMS – Calais Migrant Solidarity

[Appello in francese: 
https://calaismigrantsolidarity.wordpress.com/2016/10/15/call-out-against-the-coming-evictions/]

Deportazioni, torture e rastrellamenti: l’Italia in prima linea

Idomeni. Calais. Lampedusa. Ventimiglia: in questi ed altri luoghi di confine sono attualmente bloccate migliaia di persone, profughi e migranti in fuga da guerre, torture, sofferenze, povertà. La Grecia, che, in virtù degli accordi stipulati tra Europa e Turchia di Erdogan, deporta verso i campi di concentramento della Turchia; la Francia, che disperde i migranti assiepati a Calais in centri isolati nelle campagne; l’Italia che riempe pullman privati e aerei delle Poste italiane di migranti portandoli negli hotspot o nei c.i.e. italiani al fine di identificarli e ributtarli in strada come clandestini.

E’ questo l’agghiacciante scenario europeo fatto di frontiere militarizzate, campi di concentramento, rastrellamenti, torture, deportazioni. Ma soffermiamoci sulla situazione italiana, che proprio in questi ultimi giorni si è resa protagonista di violenze e discriminazioni. Qualche giorno fa Ioculano, il sindaco di Ventimiglia, ha ordinato lo sgombero dell’accampamento provvisorio sul fiume Roja, schierando un enorme dispositivo di forze dell’ordine per catturare e deportare i migranti in attesa di passare il confine. Lo sgombero non è stato effettuato poiché questi hanno deciso di proteggersi, spostandosi. In quelle ore di tensione la repressione non ha colpito solo i migranti, ma anche le persone generose accorse in loro solidarietà, a cui sono stati notificate denunce e fogli di via, mentre pullman e aerei attendevano di essere riempiti, mentre nelle stazioni dei treni di Genova venivano effettuati controlli e rastrellamenti ai danni di persone di colore che cercavano di raggiungere il confine.

La domanda, retorica, che ci viene in primis da fare è: queste persone in fuga da guerre e situazioni di miseria create da decenni di devastazioni e sfruttamento da parte dei paesi europei, cosa dovrebbero fare? Immaginatevi di dover scappare da bombe e torture, dal Boko Haram, attraversare deserti, finire nelle carceri della Libia, scampare alla furia del Mediterraneo su barconi di fortuna che troppo spesso affondano, perdere la famiglia, amici, guardare gli occhi di chi affoga ed essere salvi per miracolo. E poi arrivare quasi a destinazione e, stanchi, bussare alle porte delle Fortezza Europa. E di nuovo essere repressi, incarcerati, torturati, manganellati, deportati contro la propria volontà in luoghi distanti, che azzerano i preziosi chilometri guadagnati. E poi vagare in terre sconosciute con l’etichetta di irregolare, di clandestino. E magari, alla fine, morire a pochi passi dalla meta, soffocati dentro un camion che varca la Manica.

Subito dopo gli attentati di Parigi ci è stato detto che la guerra era arrivata a casa nostra, che si apriva un fronte interno alla Fortezza Europa della guerra endemica che imperversa in due terzi del pianeta; bene gli atti di rastrellamento, deportazione e tortura inflitti dalla polizia italiana e dai militari dell’esercito a Ventimiglia come altrove sono palesemente parte di questa guerra in corso sotto i nostri occhi. E’ la guerra di cui il capitalismo si nutre giorno per giorno, distruggendo tutto ciò che incontra. Chi semina vento raccoglie tempesta e violenza chiama violenza, per cui inevitabilmente chi oggi rastrella, deporta, tortura, domani non potrà che ricevere la stessa moneta in cambio. E’ ipocrita e antistorico scandalizzarsi; ed è ridicolo appellarsi alla difesa della “nostra” libertà, negata così sfacciatamente a milioni di persone.

Un’importante pensatrice del secolo scorso, Hannah Arendt, assistendo nel 1960 al processo contro alcuni dei principali responsabili delle deportazioni degli ebrei nei campi di concentramento, e quindi del relativo genocidio, parlò di “banalità del male”, ovvero del fatto che questi signori che si difendevano dicendo che negli anni del nazismo si erano limitati a fare il loro lavoro, obbedendo agli ordini dei superiori, non fossero dei mostri o dei pazzi, ma delle persone normali, degli impiegati di una catena di montaggio parte di una enorme fabbrica, che si erano semplicemente piegate alla banalità e alla normalità della vita e del lavoro che gli erano stati imposti dalla società dell’epoca.

La storia oggi si ripete: quando sono gli aerei col marchio rassicurante delle Poste italiane a deportare persone; quando sono sindaci di piccole località che emettono ordinanze dalle ricadute così pesanti sul destino delle persone; quando sono le cosiddette forze dell’ordine che applicano retate basate su una palese discriminazione razziale; è in momenti storici come questo che si avverte l’urgenza di non poter più stare a a guardare senza aspettare che un giorno ti vengano a chiedere perché avevi assistito senza intervenire. Davanti a un mondo così complesso, a situazioni così urgenti e pericolose, a scenari così agghiaccianti, crediamo che chiunque debba con i propri mezzi provare ad inceppare questo meccanismo di sofferenza e morte. E questo non per mera solidarietà o umanitarismo verso i dannati della terra, ma perché quanto sta accadendo riguarda tutti. La restrizione delle libertà che oggi si concentra su migranti e profughi sta già stringendo il cerchio su tutti.
In Francia se ne sono accorti.

La rete No Borders lotta contro le politiche della fortezza Europa, contro il capitalismo, in solidarietà ai migranti e per la libertà di movimento per tutti. La lotta ha bisogno di energie e contributi, organizzati con noi.

Assemblea ogni martedì ore 19 presso Pellicceria Occupata, a metà di via San Luca, Genova.

Rete NoBorders Genova

retenobordersgenova@autistici.org

Il precipitare di un mondo, l’urgenza di una lotta

Mercoledì 30 settembre 2015 la prefettura di Ventimiglia, su ordine del Ministero dell’Interno, ha deciso di sgomberare il presidio di migranti e attivisti che da mesi occupava una piccola area nei pressi immediati del confine tra Italia e Francia. Ventimiglia era uno dei tanti nodi caldi della questione immigrazione che sta ridisegnando le cartine territoriali, sociali, politiche e umane del pianeta.

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Siria, Afganistan, Iraq, Somalia, Libia, mille altri luoghi: l’elenco dei paesi in guerra e infinito e milioni sono le persone che scappano dalle loro terre. Le cause di queste tragedie e dei relativi esodi sono sempre le stesse: un tempo si parlava di colonialismo e imperialismo, oggi la chiamano globalizzazione. E’ il capitalismo che da secoli saccheggia i territori, costringendo alla miseria e alla fuga le sue popolazioni. Ed il capitalismo stesso sa di non poter fermare il disastro, tant’è che dal 2004 ha istituito un organo di polizia internazionale, Frontex, per pattugliare e controllare quelle frontiere e quei confini che dividono il pianeta in modo sempre più spietato. Oggi Frontex ci dice che quest’emergenza durerà decenni. Bella scoperta.

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La celebrazione della caduta del muro di Berlino e quella degli accordi di Schengen come fine di un’epoca in nome della libera circolazione appaiono oramai una barzelletta storica, uno scherzo di cattivo gusto. Confini fortificati, muri di cemento e reticolati di filo spinato percorrono l’Europa in lungo e in largo per centinaia di chilometri, aumentando in modo esponenziale di giorno in giorno. Schengen rimane valida solo per le merci, a ricordarci qual’e la vera scala dei valori per il capitalismo, al di là delle retoriche di facciata dei politici di turno.Hanno cominciato anni fa le barriere metalliche di Ceuta e Melilla a ricordare il privilegio della ricca Spagna nel cuore del povero Marocco; allora sembrava un anacronismo fuori tempo, in realtà era un avamposto. Oggi a scoraggiare “scomode intrusioni” stanno crescendo muri ovunque, tra Grecia e Macedonia, tra Ungheria e Serbia, Bulgaria e Turchia, uno a Calais; ognuno di essi porta tutti i giorni storie di morte e disperazione. E dove non c’e la terra da dividere, da rendere impenetrabile, c’e il confine naturale del mare da superare, reso terribile dalle varie mafie che gestiscono la tratta dei migranti: oltre tremila morti nel Mediterraneo solo dall’inizio del 2015. Non e forse questo lo scenario di una guerra, una guerra dell’Occidente contro i poveri e gli esclusi?

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Nella geografia spaziale che i migranti determinano nei loro tentativi di sopravvivere si materializzano scenari dai significati profondamente diversi. Due casi paralleli esemplari: quattromila migranti accampati nella cosiddetta “giungla” di Calais sulla costa francese; altri quattromila ospiti nel CARA (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo) di Mineo nel cuore della Sicilia.

A Calais i migranti arrivano dopo viaggi infiniti, con la meta agognata dell’Inghilterra; lì vengono bloccati da un dispositivo feroce che deve impedire loro di attraversare la Manica. Gli assalti al tunnel, ai camion e ai treni che attraversano il canale sono continui e sempre più di massa: quelli che ce la fanno sono pochi, non rari i morti. Nell’attesa i migranti hanno occupato un’area ai margini di Calais costruendoci una vera e propria città precaria –la “giungla” – dove migliaia di persone vivono, in molti ormai da anni. La polizia, che sistematicamente sventa ogni tentativo di occupazione di case in città e nei paesi limitrofi, saltuariamente sgombera con violenza “la giungla”, che pero rinasce dalle sue ceneri come una Fenice, arricchendosi di volta in volta di scuole, negozi,attività, spazi di ritrovo e socialità. Tra un tentativo e l’altro di attraversare la Manica, tra una sfida e l’altra con la morte, tra mille difficoltà e inevitabili contraddizioni, gli abitanti nella “giungla” si autogestiscono e si organizzano, al punto che molti di essi hanno rinunciato a raggiungere l’Inghilterra perchè ormai preferiscono restare nel luogo e nelle relazioni che lì vi hanno preso forma e vita.

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A Mineo invece i migranti arrivano quando uno dei tanti barconi che parte dalla Libia riesce nell’impresa di attraversare il Mediterraneo senza affondare, e approda a Lampedusa. Da lì quelli che intendono richiedere asilo politico vengono smistati dalla autorità nei cosiddetti centri di accoglienza. Mineo e uno dei più grossi d’Europa. Mineo e un villaggio di prefabbricati e case unifamiliari costruito dall’impresa edilizia Pizzarotti nella campagna intorno a Catania per ospitare i militari americani della base di Sigonella, che i militari stessi hanno abbandonato nel 2010 per trovare una sistemazione migliore. Mineo e un luogo anonimo, isolato dai paesi circostanti da oltre dieci chilometri di campagna non serviti da nessun mezzo pubblico. Nei prefabbricati di Mineo i migranti vivono per anni in attesa di un asilo che non arriva mai, in condizioni penose materialmente e moralmente, invisibili alla popolazione, isolati, sradicati, con una scheda prepagata di pochi spiccioli da spendere, senza la possibilità di cucinare autonomamente negli alloggi sovraffollati, con plotoni di poliziotti in antisommossa che li controllano tutto il giorno. E’ la tipica gestione concentrazionaria dei luoghi gestiti dalle autorità (polizia, esercito, CroceRossa) in situazioni di emergenza, come nei campi post-terremoto dell’Aquila, dove nessuno spazio e concesso all’autonomia e all’autorganizzazione delle persone in nessun ambito della propria vita. Mineo se non proprio un lager e una prigione; e infatti a Mineo ci sono suicidi e talvolta rivolte, come nelle prigioni. Mentre nella“giungla” di Calais, attraverso l’autogestione, molte persone arrivano al punto di abbandonare il desiderio di andarsene, a Mineo, sotto il controllo dello Stato e delle forze di polizia, le persone desiderano evadere o togliersi la vita. Ma non solo; Mineo, come tanti altri centri di accoglienza, e finita nel ciclone dell’inchiesta di“Mafia Capitale”, punta dell’iceberg del business dell’accoglienza che sembra aver turbato tante anime belle. Mineo e una delle tante mangiatoie in cui le cooperative di ogni colore politico si spartiscono la torta succulenta del terzo settore; milioni di euro stanziati formalmente per aiutare i “dannati della terra” che vanno ad arricchire le tasche dei soliti noti.

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In questo confronto tra la gestione della propria sopravvivenza da parte dei migranti e il trattamento riservato agli stessi dalle autorità emerge nitida una fotografia di cosa c’e in ballo sui confini d’Europa; e, di riflesso, si intuisce il significato di quanto accaduto in questi mesi a Ventimiglia, sorella minore della “giungla” di Calais. Rivendicare l’esperienza di Ventimiglia significa rilanciare l’importanza dell’autorganizzazione dei migranti nel momento del disastro, disastro di cui loro sono le prime vittime ma di cui tutti siamo parte e di cui dobbiamo decidere se essere complici o nemici; significa condividere un’esperienza diretta di lotta per rompere la gestione totalitaria delle autorità – statale o internazionale che sia – che produce solo repressione per i poveri e business per i ricchi.

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L’ esperienza di Ventimiglia ha punti di forza da rilanciare come debolezze da cui trarre insegnamenti.

Da un lato c’e il valore impagabile di una situazione che, trasformandosi da luogo opprimente di transito in spazio di organizzazione e autonomia, e diventata una comunità permanente in lotta. In questo processo essa è stata preziosa in se e per se, un’esperienza che ha infuso forza e coraggio a chi vi ha partecipato, migranti e solidali. Nello scenario imposto dal capitalismo e dalla Fortezza Europa, contro la guerra tra poveri fomentata dai razzisti (e tollerata da troppi complici di “sinistra”), si vince già autorganizzandosi, vivendo assieme,sperimentando la solidarietà tutti i giorni tutto il giorno, costruendo e vivendo collettivamente una situazione di resistenza e lotta. Come hanno ben detto alcuni compagni milanesi “la forza di Ventimiglia sta nel fatto che come in Piazza Tahir, al campeggio di Chiomonte, Piazza Taksim, Plaza del Sol, intorno a una lotta contro un’ingiustizia si scopre la vita, la felicità di lottare insieme, di costruire con le proprie mani qui ed ora un’alternativa alla miseria che ci vogliono imporre. Si scopre che forse non vale la pena andare fino in Germania trovare un futuro migliore, perché il futuro e già qui, nella solidarietà e nell’amicizia, nella gioia del amico che ce l’ha fatta grazie al nostro aiuto e nella rabbia per i ragazzi chiusi in un container dalla gendarmeria francese”. Fare questo, “stravolgere i territori che sembrano inabitabili e renderli luoghi dove e piacevole stare, da dove non vorremo mai andarcene” e farlo insieme ai migranti, significa, per chi ce l’ha a cuore, portare la lotta contro il razzismo nel quotidiano, in un reale denso di sfumature e possibilità. Fare questo offre preziose opportunità di recidere le radici alla presa di terreno dei neofascisti, senza dover aspettare lo scontro occasionale e l’apertura delle sedi di CasaPound e Forza nuova. Da sempre la destra raccoglie consenso nel momento in cui situazioni di crisi spostano il bersaglio facile del disagio su chi e più debole, in questo caso i migranti, i profughi. Non e un caso che stiano rialzando la testa proprio ora e la parabola di Alba Dorata in Grecia in questo senso e esemplare,paradigmatica. Per loro e un momento propizio, un’occasione da cogliere; a meno che i compagni non capiscano il senso profondo di quello che sta accadendo e di costituire a partire da esso una posizione di contrattacco.

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Dall’altro lato e pur vero che situazioni come il campeggio di Ventimiglia e altri snodi a ridosso dalle frontiere sono bolle difficili da gestire materialmente ed a livello strategico. Intanto perché per la stragrande parte delle persone non e materialmente possibile trasferirsi a vivere sul confine. Ma soprattutto perché le sfide decisive di questa enorme partita si giocano altrove. L’accoglienza, la gestione logistica e lo smistamento delle masse dei migranti avvengono a monte, al momento del loro arrivo e nelle grandi città. Ed e lì, in questi snodi, che chi ha cuore di spendersi in questa lotta di umanità, giustizia e riscossa può impegnarsi su svariati fronti.

All’apice della lotta Notav sovvenne la consapevolezza che la lotta all’alta velocità in Valsusa si giocava nella scommessa di allargare a macchia d’olio quell’esperienza di resistenza: “portare la valle in città”, “portare la valle ovunque”, divennero le parole d’ordine di un momento storico breve e intenso, che fece intravedere potenzialità di lotta enormi. Qualcosa di molto simile vale oggi per la lotta di resistenza alla Fortezza Europa. Molto si può fare per portare “Ventimiglia ovunque, in ogni città” e, in questo senso, il bagaglio di esperienze dei compagni, arricchitosi in questi anni di lotte, non ha che da dispiegarsi permettendo ad ognuno di muoversi a seconda della propria sensibilità.

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Se c’e un dato incontrovertibile degli ultimi anni e che oggi la possibilità di accedere alle informazioni e moltiplicata a dismisura: tutti, o quasi, hanno la possibilità di sapere ciò che accade nel mondo. A fronte di questa massa di informazioni l’apparente paradosso e che aumenta il senso d’impotenza, il dubbio di non sapere cosa fare, da dove partire, come organizzarsi e reagire. Eppure questa ricchezza di informazioni non può rimanere un handicap. E’ necessario sapersi muovere nello sterminato campo delle necessità pratiche, nelle strade delle città e negli spazi focali della lotta, quanto nel delicato empireo delle idee e dell’immaginario, di tutto l’apparato che influenza la nostra volontà di agire e di metterci in gioco. Dobbiamo trovare le modalità per destreggiarci nell’urgenza degli avvenimenti quanto di elaborare ragionamenti di lunga prospettiva; essere in grado di formulare un immaginario altrimenti colonizzato dalla passività quanto di elaborare una teoria all’altezza degli accadimenti.

La storia non procede in modo lineare. All’interno dei processi storici ci sono salti, precipizi, accelerazioni, momenti in cui percorsi anche secolari arrivano improvvisamente ad una soglia critica, ad un dunque, ponendo questioni decisive che riguardano tutti.
E’ nostra sensazione che questo assomigli proprio ad uno di questi momenti epocali.

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Il moltiplicarsi e la recrudescenza di conflitti in territori sempre più vasti, il loro sovrapporsi in modo incontrollabile ed il loro presentarsi alle nostre porte nella forma della questione migranti non lasciano molti dubbi sull’urgenza e la gravità di quanto sta accadendo. Arriviamo forse oggi al dunque di un processo secolare di depredazioni, saccheggi e conflitti che l’Occidente capitalista ha provocato e che dimostra oggi di non saper gestire, a meno che non sia per lucrarci le ultime speculazioni possibili (“Mafia Capitale” appunto). Le milioni di persone in fuga dagli infiniti scenari di guerra e fame non sono contenibili, non sono gestibili, se non probabilmente con politiche già sinistramente sperimentate in passato. All’ombra di muri, fili spinati ed eserciti schierati ai confini, non e fantascienza distopica immaginare per esempio una riproposizione della gestione di quest’umanità in eccesso attraverso la riproposizione e l’aggiornamento dei campi di concentramento.

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Basti pensare che l’Europa e sul punto di assegnare (lo decide il 15 ottobre) alla Turchia di Erdogan la gestione di campi profughi destinati ad ospitare milioni di profughi e migranti irregolari respinti da altre frontiere dell’Unione e di pattugliare, in collaborazione con Frontex, l’Egeo. In cambio cosa chiede Erdogan? Che la Turchia venga riconosciuto come “paese terzo sicuro”, ovvero come paese democratico che rispetta i diritti internazionali, che non tortura ne perseguita nessuno. In pratica chi, sotto gli occhi del mondo, persegue,bombarda e tortura i curdi diventerebbe la forza democratica che gestisce e si fa garante dei flussi migratori nell’area al momento più calda. Quale specchio più significativo degli scenari prospettati dalla Fortezza Europa? La sensazione e di essere avviati ad un punto di non ritorno, di fronte al quale e impensabile restare spettatori passivi che si limitano a commentare le notizie e ad indignarsi. La guerra che si presenta alle nostre porte nelle forme delle masse di migranti in fuga ci riguarda in prima persona. Trovare la lucidità e le forme per opporsi ad essa non e una questione di pura solidarietà nei confronti degli ultimi della terra, ma di dignità e sopravvivenza collettiva. Come immaginare una qualsiasi lotta per la conquista di margini di libertà in un scenario che diventa così soffocante? Come non schierarsi contro una guerra che e sempre più palesemente “in casa nostra”? Il rischio e di svegliarsi troppo tardi, quando rimarranno pochi margini d’azione. Lo scenario muta rapidamente di giorno in giorno, non solo al livello delle scelte politiche dall’alto, ma anche nel vissuto delle persone travolte dagli eventi. Essere presenti, prendere posizioni incisive, costituirsi forza nell’ambito di ciò che sta accadendo, può spostare in modo decisivo l’ago della bilancia tra posizioni pericolose, esplicitamente reazionarie o semplicemente accondiscendenti, e opportunità da cogliere. Stabilire i passaggi da fare per muoversi in modo efficace in questo contesto e evidentemente tutt’altro che facile, ma e assolutamente necessario. Occorre sicuramente svegliare e condividere la coscienza dell’urgenza di doversi muovere su questo campo in modo risoluto. Occorre organizzarsi a livello locale stabilendo una priorità dei campi d’azione e intervento.

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In definitiva la questione dei migranti, declinata localmente nella situazione di Ventimiglia ma al centro delle vicende internazionali, tocca il cuore di tutte le lotte che attraversano questi tempi e dovrebbe verosimilmente coinvolgere ogni compagno. Da chi, avendo cara l’opposizione concreta al razzismo e al fascismo, non può non vedere la violenza e la minaccia in questo senso di muri, fili spinati e confini armati. A chi, lottando contro la devastazione e il saccheggio dei territori, non può ignorare la centralità decisiva del fatto che oggi le merci sono libere di attraversare il mondo e i corpi no; che si bucano le montagne per decine di chilometri per fare andare più veloci le prime e contemporaneamente si alzano muri alti chilometri per bloccare i secondi. A chi, lottando contro la precarizzazione della vita – sul lavoro, nella lotta per la casa, contro l’allargamento delle sacche di povertà – non può non rendersi conto che i dannati della terra in fuga dalla miseria e accalcati alle nostre porte sono solo l’avamposto di uno tsunami che a breve ci coinvolgerà tutti. A chi, avendo semplicemente preservato nell’animo un desiderio di umanità, spirito di solidarietà, voglia di rovesciare questo mondo, non riesce a voltare lo sguardo e a far finta di non sentire che si sta combattendo una delle battaglie più importanti contro la miseria e la barbarie avanzanti.

Rete NoBorders – Genova                                         Ottobre 2015

IL FOGLIO DI VIA – Storia e attualità di uno strumento repressivo

Quella di movimento è una delle libertà individuali che è stata messa sotto scacco dai vari poteri che si sono avvicendati nel corso della storia. Gli strumenti per colpire ed allontanare gli indesiderati di ogni epoca (poveri, proletari, rivoluzionari, poeti, girovaghi, eretici e dissidenti di ogni tempo) non sono certo mancati. Anche in epoca moderna. Dall’Italia risorgimentale al fascismo – perfezionatore ed inventore di norme ancora oggi vigenti – fino ai giorni odierni, sono state create leggi che stabiliscono dove una persona possa stare o meno, il quando e il perché.

IL FOGLIO DI VIA
Storia e attualità di uno strumento repressivo contro i poveri, le ribellioni sociali e la dissidenza politica

Proprio in tema di libertà di movimento, di libertà di spostarsi dove si vuole, dopo la caduta del fascismo le opzioni politico-legislative nella sostanza non sono mutate granché. Se il vecchio impianto del Codice Rocco fascista è rimasto praticamente immutato, tramutandosi nel nostro Codice Penale, sempre dal fascismo la Repubblica democratica italiana ha mutato quelle che si chiamano misure di prevenzione di polizia* ovvero quelle misure che colpiscono sulla base del solo sospetto di “pericolosità sociale” (un termine volutamente ambiguo). Misure amministrative, decise dalle questure, che non necessitano per forza della commissione di un reato. Misure di cui largo uso si era fatto in passato per annientare la marginalità sociale e gli oppositori del sistema.

Torna oggi pesantemente in voga la logica della messa al bando. Non possiamo non notare, infatti, un filo conduttore che, dal risorgimento al fascismo fino ad arrivare ad oggi, lega queste misure. Oggi il famigerato rimpatrio con foglio di via obbligatorio, ovvero la misura di prevenzione di polizia preferita dalle questure del Regno…ops pardon, della repubblica, trova nuove possibilità di intervento. Col “foglio di via” vengono colpiti, oggi come ieri, oltre alla marginalità sociale (venditori ambulanti, questuanti, rom, senza fissa dimora, prostitute e immigrati) anche gli oppositori politici e i contestatori del potere (vedi i casi applicati ai movimenti NO TAV in Val Susa e NO MUOS in Sicilia, ma anche all’area libertaria, agli antifascisti, a delegati sindacali di base, ad attivisti politici di gruppi che non godono di protezioni dall’alto). L’obiettivo è di allontanare dai territori e dai contesti di lotta gli attivisti, specie i più attivi. Ma viene sempre più impiegato anche contro i partecipanti a semplici manifestazioni, così da scoraggiare alla partecipazione. Misura abusata ed anche veloce perché, al contrario delle denunce che devono essere avvallate in sede penale, le misure di prevenzione di polizia non hanno bisogno di una ratifica processuale ma adottate con semplice firma del questore.

Il foglio di via non è una semplice misura limitante la mobilità di chi ne è colpito, va ad inficiare anche altri aspetti basilari della vita quotidiana che interessano il campo affettivo (legami di amicizia e di amore) oltre a quello politico, denotandosi come un vero e proprio attentato contro la libertà individuale. L’applicazione di questa misura è in rapida espansione, perché la sua efficacia è accresciuta dalla difficoltà di difendersi da accuse che si basano su presunzioni di pericolosità motivate arbitrariamente. Spessissimo il provvedimento si limita ad indicare quale unico elemento i precedenti di polizia del destinatario, come la partecipazione a manifestazioni, presidi, cortei, etc, comuni tra chi partecipa alle lotte sociali.

[*] Le misure di prevenzione di polizia oggi vigenti Le maggiori misure di prevenzione personali oggi sono: 1) l’avviso orale; 2) il rimpatrio con foglio di via obbligatorio; 3) la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con l’aggiunta del divieto o dell’obbligo di dimora. Le prime due sono decise dal questore mentre l’ultima prevede che sia un giudice ad esprimersi. Non si possono applicare ai minori degli anni diciotto e a persone diagnosticate come incapaci di intendere e volere. 

1.  Le misure di prevenzione di polizia durante il risorgimento e l’unità d’Italia.

Chiamate anche ante delictum per la caratteristica di colpire il destinatario aldilà della commissione di un reato, le misure di prevenzione di polizia vantano una antica tradizione repressiva, risalente addirittura a prima dell’unità d’Italia. Per alcune tipologie di persone – vagabondi, “oziosi”, “zingari”, questuanti, libertini, sospetti di furto, forestieri senza reddito o professione certi e anche individui considerati pazzi – dal ‘600 cominciano infatti ad essere emessi vari provvedimenti di messa al bando. La condizione stessa di “zingaro” o vagabondo diverrà circostanza aggravante in caso di commissione di altri reati. Ma la prima legge in cui venivano disciplinate le prime misure di prevenzione personali a carattere esclusivamente amministrativo è una legge del 1852 recante la dicitura “provvedimenti provvisori in materia di pubblica sicurezza”, approvata nel Regno di Sardegna. I destinatari alla messa al bando erano i forestieri che esercitavano il commercio ambulante senza licenza, coloro che erano sospettati di commettere furti in campagna o pascolo abusivo, ed ancora gli oziosi e i vagabondi. Non vi è da sorprendersi dell’inclusione dei sospettati di reati contro la proprietà tra quelli previsti. Dagli inizi dell’Ottocento si assiste a trasformazioni sociali colossali: la fine dell’economia rurale, l’esodo dalle campagne e la conseguente formazione del proletariato urbano. Circostanze che porteranno al formarsi del “brigantaggio” e all’apparizione di una popolazione diffusa poi ribattezzata “classe pericolosa”. Di fronte a questo nuovo sviluppo, in giurisprudenza il principio classista della sicurezza della proprietà privata prenderà lentamente il posto del principio delle prove formali.

Ottenuta l’unificazione dell’Italia, il fenomeno del brigantaggio in meridione, avvertito come una minaccia al nuovo governo, fece sì che il sistema delle misure di prevenzione del 1852 fosse aggiornato. Nel 1863 il Parlamento approvò la Legge Pica (“Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle Provincie infette”) che presentata come “mezzo eccezionale e temporaneo di difesa” rimase in vigore fino al 31 dicembre del 1865 (prorogata poi nel ’65 e ’71). Oltre ad introdurre il reato di brigantaggio, accostando il sovversivismo sociale alla criminalità di tipo mafioso, la Legge Pica introdusse per la prima volta nell’ordinamento italiano la pena del domicilio coatto. Al termine del periodo di domicilio coatto, che poteva durare fino a cinque anni, l’individuo era rinviato con foglio di via obbligatorio al luogo di residenza. Attraverso modifiche, nell’estate 1863 i Savoia estesero la Legge Pica alla Sicilia, con l’obiettivo di reprimere il fenomeno della renitenza alla leva militare. Divennero così perseguibili anche i renitenti, i loro parenti e persino – attraverso il concetto di “responsabilità collettiva” – i loro concittadini. Misure riprese nel 1865 attraverso il primo Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (abbreviato con l’acronimo T.U.L.P.S.) adottato in Italia, che oltre ad estendere il domicilio coatto per “motivazioni politiche” con l’imposizione di dimorare, dal mese ai tre anni, in una colonia di osservazione (isole difficili da raggiungere e da cui evadere) introduceva per la prima volta esplicitamente la misura del rimpatrio nel comune di residenza con foglio di via obbligatorio mediante accompagnamento coattivo, destinato a chi, fuori del proprio comune, “desta sospetto” con la sua condotta. Il T.U.L.P.S. del 1865 eluderà totalmente le seppur minime garanzie processuali prima concesse.

Infine nel 1894, lo stesso anno in cui il governo Crispi proclamava lo stato d’assedio in Sicilia per disciogliere l’organizzazione dei Fasci dei lavoratori, vennero emanate tre “leggi eccezionali” di pubblica sicurezza, ricordate come leggi “anti-anarchiche” che aggravarono le misure di prevenzione di polizia per i reati politici.

Il T.U.L.P.S. del 1865 cessò la sua validità nel 1895 e per ragioni politiche non verrà prorogato, almeno fino al 1924 in cui venne ripreso dall’impianto della polizia fascista. Sin dall’epoca liberale le misure di prevenzione vennero dunque elaborate per colpire soggetti additati come potenzialmente pericolosi per una appartenenza di classe o per condotte di vita (penalmente irrilevanti) contrarie ai valori predominanti di chi deteneva il potere. La nozione di pericolosità pubblica diverrà il criterio con cui giudicare una persona sulla basa di indizi, sospetti, personalità, caratteristiche fisiche, appartenenza a classi sociali o addirittura tipologie etniche (complice l’antropologia criminale).

2.  Misure di prevenzione di polizia e foglio di via durante il fascismo

Alfredo Rocco, esponente nazionalista del Partito fascista, portò a compimento il progetto di riforma e sviluppo sia del nuovo codice penale (Codice Rocco) che del nuovo Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, il T.U.L.P.S. del 1926, che saranno alcuni dei più forti strumenti a disposizione del fascismo nel processo di consolidamento del potere e “fascistizzazione” della società. Il T.U.L.P.S. del 1926, con sottotitolo “Provvedimenti per la difesa dello Stato”, segue gli attentati Lucetti e Zamboni a Mussolini. Proprio il T.U.L.P.S. del ’26 dedicherà ampio spazio alle misure di prevenzione, che basano la loro natura solamente sulla base del sospetto e quindi ben più funzionali per la repressione del dissenso politico rispetto alla normale disciplina penale. Questo nuovo T.U.L.P.S. recupererà le misure previste nel T.U.L.P.S. del 1865, ovvero l’ammonizione di polizia e il rimpatrio al proprio luogo di residenza con foglio di via obbligatorio. Inoltre l’art 185 della legge istituirà il confino di polizia, successore del vecchio domicilio coatto, da scontare attraverso il lavoro forzato in una colonia o in un comune del Regno da uno a cinque anni (rinnovabili nei confronti di soggetti ritenuti particolarmente pericolosi per non aver modificato le proprie convinzioni). Il fascismo fece da subito di queste misure le sue armi predilette.

Nel solo periodo novembre-dicembre 1926, subito dopo l’approvazione del nuovo T.U.L.P.S., vi furono ben 900 assegnazioni al confino. A differenza del vecchio istituto del domicilio coatto il confino poteva essere applicato immediatamente e non solo a seguito di una trasgressione alle prescrizioni dell’Autorità di P.S (ovvero ad un’ammonizione). Appariva inesistente qualsiasi parvenza del diritto di difesa. Per assurdo, si aveva parvenza di garanzie maggiori persino di fronte al Tribunale Speciale con competenza sui reati politici, istituito dal fascismo nel 1926. Per il confino, difatti, era previsto solo un ricorso alla Commissione di Appello composta da appartenenti alla polizia, ai carabinieri e alla stessa Milizia fascista. Tali misure di polizia, pur conservando le regole del vecchio sistema, vennero estese ben oltre una generica area di emarginazione sociale, diventando uno strumento cardine del controllo poliziesco del Fascismo contro i suoi oppositori. Come con tutti gli altri T.U.LP.S., passati e futuri, l’applicazione delle misure di prevenzione di polizia non richiedeva una responsabilità giudizialmente accertata ma soltanto una condotta tale che potesse costituire, vero o no che fosse, un pericolo per la sicurezza pubblica e l’ordine politico. Con l’ulteriore T.U.L.P.S. del 1931, emanato in un clima di enorme rafforzamento delle attività e del potere di polizia da parte del regime fascista, la disciplina delle misure di prevenzione resta sostanzialmente immutata rispetto al 1926 ma viene resa ancora più esplicita la possibilità di ammonire gli avversari politici.

In più si prevederà la possibilità dell’arresto immediato delle persone proposte per le misure di prevenzione e persino per i prosciolti da un reato per insufficienza di prove.

Dopo l’approvazione delle leggi razziali fasciste del 1938, il confino e le relative misure di prevenzione furono applicate anche agli ebrei e agli omosessuali, accusati di “attentato alla dignità della razza”. Anche le prostitute e i transessuali ricadevano nelle categorie proposte per le misure di prevenzione di polizia. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania nazista, si aggiunsero a questa lista di indesiderati dal regime anche i renitenti, gli irredentisti slavi, i prigionieri di guerra e i cittadini di stati nemici. Per l’agilità delle procedure e l’ampia discrezionalità offerta, le misure di prevenzione di polizia saranno dunque il mezzo più veloce per il fascismo per eliminare tutti i soggetti sgraditi al regime. 

Sconfitto il fascismo, si potrebbe pensare che una società sedicente democratica non abbia bisogno di leggi concepite quando ancora c’erano i Re e servite magistralmente per colpire le dissidenze interne durante una dittatura spietata ed autoritaria quale fu quella fascista. Chi lo pensasse però sbaglierebbe di grosso. Secondo i principi enunciati dall’art. 13 della legge del 1956 che istituì il nuovo T.U.L.P.S democratico, ‹‹l’applicazione delle misure di prevenzione (…) della presente legge importa gli stessi effetti conseguenziali prodotti dall’ammonizione e dall’assegnazione al confino secondo il precedente ordinamento››. Insomma, non solo è chiaro ma anche palesemente ostentato il debito che le misure di prevenzione repubblicane avranno con i vecchi istituti del regime fascista.

3.  Il foglio di via oggi

Finito il regime fascista per merito dei partigiani in armi, la repubblica ha infatti dimenticato presto questi ultimi, riprendendo intanto in mano il T.U.L.P.S. fascista che, tranne qualche insignificante modifica a cominciare dagli anni ’50, è stato di nuovo reso pienamente operativo. Già a partire dal Testo Unico delle Leggi di P.S. del 1956 all’epoca del governo Tambroni – governo sostenuto dai post-fascisti del MSI – le misure di prevenzione sono state dunque reintrodotte a pieno titolo nell’ordinamento italiano e per larghissima parte hanno ancora valore al giorno d’oggi.

Il T.U.L.P.S. del 1956 riprende in maniera pressoché uguale le misure previste dal T.U.L.P.S. fascista del 1931. Anche se la legge cambiò la terminologia con cui vennero chiamate queste misure (ma non certo la loro natura repressiva). Così l’ammonizione fu sostituita dalla diffida e il famigerato confino di polizia con l’istituto della sorveglianza speciale (con obbligo o divieto di soggiorno in un determinato luogo). Il nuovo T.U.L.P.S. mantenne del tutto inalterato il rimpatrio con foglio di via obbligatorio* nei confronti degli individui presumibilmente pericolosi per la sicurezza pubblica e che si trovino fuori dai luoghi di residenza, applicabile per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre.

La legge del 1956 istituì la divisione delle competenze per l’applicazione delle misure, dando competenza al questore per quanto riguarda la diffida e il rimpatrio con foglio di via obbligatorio (all’autorità giudiziaria invece per l’applicazione della sorveglianza speciale) e indicava, all’art.1, le categorie di persone che potevano essere raggiunte dai provvedimenti. A seguito di ripetute modifiche e aggiustamenti, una legge del 1988 oltre ad aver abrogato la diffida del questore sostituendola con lo strumento dell’avviso orale, ha ridotto a tre le categorie di individui a cui possono essere applicate le misure di prevenzione di polizia, con conseguente esclusione di alcune categorie di soggetti: gli oziosi e vagabondi, i soggetti dediti ad attività contrarie alla moralità pubblica ed al buon costume (anche se le questure d’Italia continuano a colpire senza tregua mendicanti, senza tetto e prostitute).

 Le categorie rimaste, a cui ancora oggi si fa riferimento per l’applicazione delle misure, sono:

1. coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, siano abitualmente dediti a traffici delittuosi;

2. coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;

3. coloro che, per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, siano dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. 

PRESUPPOSTI PER L’APPLICAZIONE:
— appartenenza ad una delle tre categorie di cui all’art. 1, L. 1423/1956 come sostituito dall’art. 2, L. 3-8-1988, n. 327;
— che si tratti di persona pericolosa per la sicurezza pubblica;
— che questa persona si trovi fuori dalla propria residenza.

VALIDITÀ: La misura di rimpatrio con foglio di via obbligatorio , emessa dal Questore, ha durata non inferiore ad un anno e non superiore a 3 anni ed ha valore dal momento della notifica e riguarda anche il semplice transito nel comune dal quale si è stati cacciati. Per chi viola il foglio di via e viene trovato sul territorio del comune dal quale è stato espulso, la pena prevista va da uno a sei mesi di carcere.

RICORSI CONTRO IL FOGLIO DI VIA: La misura può essere modificata dal questore, riducendo la durata del divieto; è prevista la revoca del provvedimento sulla base di una diversa valutazione dei presupposti che lo hanno determinato; sono ammesse deroghe in presenza di eccezionali esigenze. Durante gli anni di validità del foglio di via è possibile chiedere permessi temporanei alla Questura, per ragioni di studio, lavoro od altro. Contro il provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio è possibile presentare memorie alla questura, fare ricorso al Prefetto oppure al TAR (Tribunale Amministrativo Regionale, situato nel capoluogo di regione) e in ultima istanza al Consiglio di Stato. Molti sono scoraggiati dall’aspetto economico: solo il bollo che serve per fare ricorso al TAR costa oggi circa 700 euro ed ogni anno il prezzo aumenta, mentre le persone a cui le questure applicano queste misure sono comunque quasi sempre certamente non possidenti. Nel ricorso è importante poter dimostrare un collegamento fra il destinatario della misura e il comune dal quale lo si vuole allontanare, ad esempio il possesso della residenza, di un contratto d’affitto, di un contratto di lavoro, di legami parentali e affettivi dimostrabili, delle carte che attestino il pagamento delle rette universitarie, ecc. Anche se, va detto, gli esiti del ricorso sono sempre dettati dall’enorme discrezionalità del Prefetto e del giudice amministrativo.

4. Corsi e ricorsi. Esempi di foglio di via contro i movimenti dal dopoguerra.

  Movimento Beat – A metà anni sessanta, alcuni anarchici e altre persone gravitanti nel movimento beat diedero vita a “Mondo Beat”, considerata la prima rivista underground italiana, che inizia le pubblicazioni nel novembre 1966 (in tutto ne uscirono sette numeri). Ben presto, la rivista divenne la voce del movimento dei “capelloni” (com’erano chiamati) e ispiratrice di una libera comunità denominata dai suoi abitanti “il campeggio”, nell’allora periferia di Milano, in via Ripamonti. La stampa “benpensante” iniziò una forte campagna contro la tendopoli (definita spregiativamente “Barbonia City”) accusandola di contravvenire alle regole della moralità (libero amore) e di rappresentare un pericolo per la città a causa di “precarie” condizioni igieniche. Squadre della polizia provvidero a perquisire sistematicamente la tendopoli. In seguito ad alcune perquisizioni, il 7 marzo 1967 un centinaio di “capelloni” inscena una manifestazione per protestare contro i metodi della Polizia e viene caricata. Il 12 giugno 1967 la tendopoli di via Ripamonti viene sgomberata dalla forze di Polizia e rasa al suolo dagli operatori comunali, intervenuti con i lanciafiamme. Molti degli occupanti vennero fermati ed allontanati dalla città con foglio di via. Già il 19 novembre 1966 Vittorio Di Russo, fondatore del movimento, che era già stato diffidato dalla Questura dal soggiornare in Milano, venne arrestato per contravvenzione alla diffida. Rinchiuso per una settimana nelle segrete della Questura di Milano, subì percosse e torture mentali che gli avrebbero lasciato un trauma profondo. Nel gennaio ’67, intanto, Mondo Beat trova un locale a pochi passi da Piazza Cinque Giornate. Viene battezzato “La Cava”, aperta giorno e notte. Fin dall’inizio si crea un andirivieni di giovani del giro di Milano e nei giorni successivi da ogni parte dell’Italia del Nord. Si trova anche una tipografia vicino alla Cava, disposta a stampare a prezzo imbattibile i numeri di Mondo Beat. Sabato 18 febbraio, però, la Questura accerchia la Cava, dispiegando nelle strade adiacenti un gran numero di poliziotti in borghese. Partono diffide e fogli di via. Quella delle diffide e dei fogli di via diventò presto prassi poliziesca nelle città dove si era propagato il movimento beat: Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Padova, Trento…

Terremoto Irpinia 1980 – Il terremoto in Irpinia del 1980 che si verificò il 23 novembre 1980 e che causò circa 280.000 sfollati e 2.914 morti, è senz’altro uno dei più spaventosi mai occorsi. Da subito un ampia solidarietà spontanea e umana si mise in moto, senza aspettare l’intervento istituzionale dello stato. Ai militanti della sinistra extraparlamentare e agli anarchici si uni la popolazione che rispose all’appello alla solidarietà. L’impegno politico rivoluzionario che molti compagni portarono in quei giorni fu una solidarietà attiva, che ben presto divenne scomoda per coloro che volevano gettarsi nel grande affare della ricostruzione. Fu così che dopo un mese di impegno, alla vigilia del Natale del’80 nelle tende dei compagni irruppero i carabinieri che rifilarono il foglio di via ai volontari e fecero piazza pulita di coloro che assieme alle popolazioni erano intenti a denunciare affaristi, speculatori e politici corrotti. A portare il foglio di via ai compagni furono quei carabinieri che il mese prima, grazie alla mensa montata dagli stessi autonomi romani, riuscirono a mangiare un pasto caldo, essendo stati i paesi completamente abbandonati a se stessi dagli aiuti ufficiali. Un bel ringraziamento. Una bella lezione per il futuro.

  Terremoto L’Aquila 2009 – Un episodio simile a quello riportato a destra è toccato anche agli sfollati del terremoto dell’Aquila del 2009. La consegna del foglio di via, di punto in bianco, nel settembre 2009, agli sfollati delle tendopoli con l’imposizione dei paesi in cui dovevano trasferirsi suscitò proteste sentite alla tendopoli di piazza D’Armi, il più grande centro d’accoglienza della Protezione Civile nato dopo il sisma del 6 aprile, in cui vi erano radunate più di mille persone. Tensione vi furono tra gli ultimi cinquanta nuclei familiari rimasti e polizia, carabinieri e guardia di finanza entrati per consegnare i fogli di notifica con l’ordine di lasciare il campo e raggiungere le destinazioni a cui erano stati assegnati d’autorità. Destinazioni distanti rispetto al posto di lavoro. In seguito alle tensioni, la Protezione Civile vietò l’accesso al campo ai giornalisti e lasciò campo aperto alla “persuasione” della polizia.

 5. L’applicazione del foglio di via ai movimenti oggi.
I casi più eclatanti.

Quella qui riportata non vuole essere una cronaca esauriente, cosa del resto assai ardua vista l’alto numero di provvedimenti di questo tipo comminati in questi ultimi anni, ma solo un esempio del modus operandi delle questure. 

  NO TAV – Contro il movimento NO TAV, soprattutto negli ultimi anni, in concomitanza con l’edificazione del cantiere per il tunnel esplorativo nei boschi vicini a Chiomonte (TO), si è dispiegata tutta la forza e gli stratagemmi di cui il potere è capace. Denunce, cariche, arresti, manganellamenti selvaggi, lacrimogeni sparati ad altezza uomo, minacce mafiose, avvisi orali e, naturalmente, fogli di via. Sono ormai decine e decine i fogli di via per questa lotta ventennale. Un discreto numero di No Tav si sono visti notificare nell’agosto 2012 provvedimenti di divieto di entrata in ben 7 comuni della Val Susa. Il riferimento è alla notte tra il 23 e il 24 luglio 2012 quando centinaia di No Tav (e no nuke!) si mobilitarono contro il passaggio del treno di scorie nucleari transitanti lungo la linea ferroviaria che dalla Val Susa porta in Francia. Ai No Tav venne contestato il “tentativo di avvicinarsi alla sede dei binari per impedire il transito dei convogli”. Viene inoltre precisato che “quel gruppo di persone identificate era proveniente dal campeggio di Chiomonte. La semplice presenza nel campeggio è dunque sufficiente a determinare la pericolosità sociale. Addirittura il 6 marzo 2012 è stato notificato il foglio di via a Turi Vaccaro, nota figura pacifista che da sempre accompagna le manifestazioni No Tav. Fermato dalla DIGOS a Torino, dove si era tenuta la riunione organizzativa per uno sciopero della fame collettivo contro il Tav, numerosi agenti lo hanno portato in questura per notificargli il foglio di via da Chiomonte.
Un altro foglio di via per motivazioni politiche è stato dato ad Ancona a marzo 2012. L’Assemblea Permanente Movimenti Marche promosse, come avvenne in diverse città italiane, una manifestazione di solidarietà nei confronti del Movimento No Tav, dando appuntamento alla stazione di Ancona. Appena alcune decine di manifestanti entrarono nell’atrio una carica di agenti in tenuta antisommossa coinvolse i presenti con una buona dose di manganellate. Alcuni giovani rimasero feriti, tra cui l’attivista in questione che ha ricevuto il foglio di via da Ancona. La questura in quel frangente motivò il foglio di via perché  “il prevenendo risulta nelle banche dati econometriche avere comunicato nominalmente un reddito imponibile irrisorio”. Il realtà il ragazzo lavorava con un contratto a progetto, tra l’altro proprio nel comune di Ancona, e questo suo essere precario, condizione comune ad una fetta crescente della popolazione italiana, lo rende per la questura automaticamente un potenziale soggetto pericoloso.

   NO MUOS – I fogli di via sono toccati anche agli attivisti del movimento NO MUOS che stanno lottando contro la costruzione di una mega-antenna, il Mobile User Objective System (MUOS), nella base USA di Niscemi (Sicilia). Tra gennaio e maggio del 2013, ogni giorno infatti i manifestanti presidiavano il passaggio ai camion che si dirigevano verso lo stabilimento militare con lo scopo di fermare o quantomeno rallentare i lavori per l’impianto nocivo. I presidianti sono stati colpiti negli anni da diversi fogli di via. Uno di questi è per un pacifista arrestato dopo essersi arrampicato su una delle antenne presenti dentro la base.

   LOTTE DEI LAVORATORI – I fogli di via non risparmiano nemmeno i lavoratori in lotta e i loro solidali. Aldo Milani, coordinatore nazionale del Si.Cobas, ha ricevuto ad aprile del 2013 dalla questura di Piacenza un foglio di via per tre anni. Stessa misura per due altre persone ree di avere partecipato alle lotte prima della TNT e GLS e poi dei lavoratori Ikea nel parmense. La “colpa” è di aver dato sostegno alla lotta dei lavoratori dell’Ikea: una lotta per respingere i licenziamenti, contro caporalato e supersfruttamento. Altra città, stesso copione: a dicembre  2015 arrivano per 10 persone altrettante procedure per l’attivazione della misura del “foglio di via” dal comune di Cesena. Le persone sono attivisti sindacali di base dell’ADL Cobas, militanti del PCL Romagna e dello Spazio Libertario “Sole e Baleno” e semplici solidali. La “colpa” di queste persone: essere stati presenti a picchetti di lavoratori in lotta nel settore della logistica per dare loro la propria solidarietà, dopo che questi erano stati licenziati per aver chiesto miglioramenti in campo lavorativo. I preavvisi vengono revocati a seguito di mobilitazioni. Con questi provvedimenti gli apparati repressivi tentano di fermare la solidarietà alle lotte come quella dei lavoratori immigrati delle cooperative del settore della logistica.

   ATTIVISTI ANIMALISTI E AMBIENTALISTI – Nel comune di Bellegra, paese della provincia romana, le forze dell’ordine locali probabilmente in preda alla noia si sono accanite nei confronti della fondazione Valle Vegan, un’associazione che offre una casa ed una vita dignitosa a centinaia di animali. Le visite che i carabinieri hanno fatto agli abitanti della comune sono state sempre maggiori finché i tutori dell’ordine hanno ben pensato di lanciare un messaggio chiaro: fogli di via per potenziali reati politici, punendo la sola intenzione di visitare Valle Vegan. É toccato ad un ragazzo che stava recandosi alla comune nell’ottobre 2009: perquisizioni, fermi interminabili in caserma e, per finire, espulsione dal comune per un anno e mezzo. Che i fogli di via colpiscano sempre di più l’attivismo politico è indubbio. Non solo anarchici, comunisti e appartenenti alla sinistra radicale ma anche attivisti appartenenti ad associazioni che certamente non si può dire portino avanti progetti rivoluzionario. Il foglio di via più assurdo è stato imposto per due anni dal comune di Roma ad un attivista di Greenpeace, Salvatore Barbera, dopo un’azione davanti a Palazzo Chigi per denunciare l’impatto dei cambiamenti climatici. Il foglio di via, notificato ad ottobre 2011, viene motivato con il reiterarsi del reato di manifestazione non autorizzata ovvero azioni nonviolente della campagna per il Referendum sul nucleare di giugno dello stesso anno. Nel maggio del 2011, sempre ad alcuni attivisti di Greenpeace, sono stati notificati un foglio di via della durata di 3 anni e 7 D.A.SPO (cioè l’interdizione dagli stadi) per un’altra azione dimostrativa allo stadio olimpico a Roma, per l’affissione di uno striscione con la scritta “Da Milano a Palermo, fermiamo il nucleare”.

   NO BORDERS – Nell’estate del 2015, in seguito alla chiusura del confine francese e alla congestione del flusso migratorio alla frontiera, a Ventimiglia (Ponte san Ludovico) prende vita il Presidio Permanente No Borders, un campo autogestito da migranti e solidali che da giugno a settembre diventa centro propulsore di una lotta per la libertà di movimento, oltre che un luogo di sperimentazione di nuove pratiche di solidarietà radicale. Tra luglio e agosto, con l’intensificarsi dei respingimenti dalla Francia all’Italia, hanno luogo una serie di azioni pacifiche alla frontiera durante le quali migranti ed europei bloccano la strada al grido di “We are not going back!”. Il 10 di agosto, un gruppo di solidali cerca di impedire il passaggio dei blindati che riportano i migranti in territorio italiano, venti di loro sono arrestati da due cordoni di polizia in antisommossa, e passano la notte in commissariato, dove vengono loro notificate le denunce per invasione e contestualmente, vengono consegnati sei fogli di via obbligatori con diffida per tre anni dal comune di Ventimiglia. Il provvedimento preventivo è giustificato dalla presunta pericolosità per l’ordine e la sicurezza pubblica, dimostrata usando i precedenti di polizia di alcuni, e la frequentazione del Presidio Permanente come evidenze. Nei mesi successivi altri cinque fogli di via colpiscono gli attivisti. Tra i casi più eclatanti quello di due persone residenti a Dolceacqua, comune quasi limitrofo a Ventimiglia, che si vedono ora impedito l’accesso alla “città” più vicina, in cui lavorano e coltivano relazioni, per il solo fatto di essere solidali con i migranti senza attendere l’approvazione delle autorità. Chi lotta per la libertà di movimento si vede impedita quella stessa libertà, coerentemente con la logica fascista della messa al bando dei dissidenti.

6.  L’applicazione del foglio di via all’area libertaria

Gli anarchici sono senz’altro tra i bersagli preferiti dalle questure, che quando possono li colpiscono con le misure di prevenzione di polizia. Si contano ormai a centinaia i fogli di via per l’area libertaria combattiva. Contro queste misure le armi migliori sono la solidarietà e la mobilitazione. 

   Bologna – Nel corso del 2011 una repressione senza pari si scagliò contro il movimento anarchico bolognese. Venne chiuso e posto sotto sequestro lo spazio “Fuoriluogo”, un circolo che organizzava eventi aperti al pubblico, considerato dagli inquirenti un “covo” dedito alla commissione di delitti. Alcune persone vennero tratte in arresto, altre colpite da misure coercitive come obbligo o divieto di dimora. Per altri, non direttamente colpiti dai suddetti procedimenti, furono adottati i fogli di via. Una ventina più o meno. Tutto questo per distruggere le lotte portate avanti dagli anarchici a Bologna, contro carcere e centro di identificazione ed espulsione per immigrati. I fogli di via furono notificati allo stesso gruppo che frequentava il circolo “Fuoriluogo” ma con le motivazioni più disparate, dalla partecipazione a cortei e presidi autorizzati o meno che fossero, fino a fatti totalmente inventati. Ovviamente l’obiettivo della questura, anche in questo caso, era quello di tagliare i ponti, distruggere amicizie, affinità, legami.

   Genova – Alcuni anarchici, incontrando Sergio Cofferati per le strade di Genova nell’ottobre del 2009 e, avendo visto come aveva ridotto la città di Bologna quand’era sindaco, gli urlavano quel che pensavano del suo operato. Immediatamente spuntano le forze dell’ordine che con massima solerzia portavano in questura un ragazzo. Dopo un’attesa di alcune ore anche a lui viene consegnato un foglio di via dal comune di Genova valido per 3 anni.   Milano – Nell’agosto 2008 la questura milanese decise di adottare un foglio di via nei confronti di un compagno del comitato antirazzista milanese in seguito ad alcune delle lotte più significative che il movimento degli immigrati ha prodotto in quella città. Il dispositivo era maturato in riferimento alla partecipazione alle lotte di resistenza dei rom, di supporto alle rivolte al CIE di via Corelli, degli scioperi selvaggi dei lavoratori immigrati a Origgio e a Corteolona, della lotta dei rifugiati di Bruzzano che hanno affrontato a mani nude le cariche della polizia per difendere la propria esistenza. Tutte vicende in cui gli antirazzisti milanesi hanno dato il massimo delle proprie energie. In seguito una sentenza del TAR annullerà tale provvedimento considerandolo privo di fondamento giuridico e frutto di una volontà persecutoria politica ben precisa.

   Ferrara – Il pomeriggio del 2 giugno 2009 un compagno anarchico viene tratto in arresto a Ferrara, accusato di essersi intrufolato in pieno giorno nella sede cittadina dei razzisti della Lega Nord e per averla “messa a soqquadro”. Dopo due giorni il compagno viene scarcerato con obbligo di dimora nel suo comune di residenza, sempre in provincia di Ferrara, e con il divieto di uscire dalla propria abitazione dalle 19.00 alle 7.00. Nel processo che ne seguì il compagno venne assolto con formula piena per non aver commesso il fatto. In carcere, però, gli era stato notificato intanto il foglio di via per tre anni dal comune di Ferrara, per non avervi la residenza o un lavoro stabile.

   Ravenna – Nel 2012, il 16 aprile, si tenne a Ravenna un corteo spontaneo per opporsi ad una fiaccolata precedentemente convocata dal partito di estrema destra Forza Nuova, che intendeva con questa sceneggiata applaudire i carabinieri che avevano ammazzato, appena qualche giorno prima (era la notte di Pasqua) un ragazzo tunisino – Hamdi Ben Hassen – reo di non essersi fermato ad un posto di blocco.  Un gruppo di antifascisti di diverse città, sia anarchici che comunisti, scese in strada. Forza Nuova non ebbe il coraggio di presentarsi ma gli agenti in antisommossa, accorsi già da qualche giorno da Bologna e dalle Marche per militarizzare la città dopo le manifestazioni di rabbia degli amici di Hamdi, circondarono gli antifascisti e li “deportarono” in questura caricandoli di peso su una corriera. A fronteggiare trenta persone armate di striscioni, volantini e slogan una pletora di digossini, polizia municipale, polizia di stato e carabinieri in assetto antisommossa. La sfilza di denunce per “manifestazione non autorizzata” per una 30ina di compagni finì con il solito corollario di avvisi orali e fogli di via per i non residenti a Ravenna, della durata di due anni. Le notifiche dei fogli di via appaiono per altro legate al fatto che alcuni dei destinatari facevano parte del Coordinamento No Cmc contro la cooperativa aggiudicataria dell’appalto per la costruzione del tunnel per l’alta velocità in Val Susa. Le misure preventive, infatti, avvenivano alla vigilia di una grossa manifestazione No-Tav a Ravenna contro la Cmc.

   Trento e Rovereto – I fogli di via emessi a Trento e nel roveretano per gli anarchici si contano ormai a decine. Nel novembre 2009 una quindicina di compagni e compagne anarchici/e saranno denunciate per inosservanza dei fogli di via, per aver partecipato a manifestazioni in difesa degli spazi occupati e contro i fogli di via che avevano già colpito alcuni altri compagni, in occasione dell’occupazione e sgombero dell’Assillo. Molti dei compagni colpiti, comunque, saranno assolti dal tribunale amministrativo o penale perché le misure, in molti casi, saranno giudicate illegittime. In alcuni casi per vizi di forma, in altri perché non dimostrata la pericolosità sociale, in altri ancora perché notificati a persone residenti nello stesso comune da cui le si voleva allontanare.

   Firenze – Nell’ottobre 2005, a Firenze, in conseguenza dello sgombero dello storico Circolo Anarchico di Vicolo del Panico, presente in città da vent’anni, una decina di anarchici ricevettero il foglio di via da Firenze per la durata di tre anni. Decisi a rimanere in città, da subito decisero di violarlo. Dopo due anni e mezzo costellati da numerosi fermi, una compagna è stata condannata dalla Corte d’Assise di Firenze a due mesi di reclusione con la condizionale per non essersi allontanata da Firenze. Un altro compagno è stato condannato a un mese per lo stesso reato. La DIGOS fiorentina ha poi emesso un foglio di via di tre anni per un compagno accusato di aver protestato contro un banchetto di “Giovane Italia” sulle Foibe, iniziativa revisionista su quello che è stato il fascismo in terra di Iugoslavia.

   Forlì – 4 fogli di via identici raggiungono nel 2013 compagni e compagne libertari/e per aver partecipato a manifestazioni non preavvisate sia antifasciste che per protestare contro lo sgombero del MaceriA occupato (un edificio di tre piani occupato nel novembre 2012). Per questi fatti a 51 persone verranno recapitati altrettanti avvisi di garanzia. Tra lo stesso gruppo di persone vengono spiccati tre “avvisi orali” con l’intimazione di cambiare comportamento e frequentazioni. Nel 2015 a questi quattro fogli di via se ne aggiungeranno altri quattro, ancora per manifestazioni antifasciste contro Casapound e Forza Nuova, nei confronti di tre anarchici (per uno il foglio di via riguarderà l’intero territorio provinciale di ForlìCesena) ed una militante di Rifondazione Comunista. A seguito della violazione di questi fogli di via, due compagni saranno denunciati penalmente.

   Venezia – Anche nella città lagunare i fogli di via per anarchici e anarchiche sono uno dei mezzi preferiti dalla questura locale. A seguito di occupazioni di spazi, manifestazioni e per la lotta contro il carcere di Santa Maria Maggiore vengono spiccati nel 2015 una ventina di fogli di via a cui i compagni e le compagne rispondono con cortei spontanei e partecipati.

   Udine – A gennaio 2016 sono stati notificati a un anarchico della provincia di Udine i fogli di via definitivi per 3 anni da Venezia (per la lotta contro il carcere di Santa Maria Maggiore, in totale una ventina di fogli) e da Udine città (per contrasto a iniziative del P.D. e di R.S.I.-Movimento Sociale-Fiamma Nazionale e per corteo contro la questura e la repressione). E’ il terzo foglio di via da Udine per anarchici negli ultimi tempi.

7. L’applicazione del foglio di via ad altri soggetti indesiderati.

  Ovviamente le misure di prevenzione di polizia non colpiscono solo gli attivisti politici. Fra i soggetti destinatari di tali provvedimenti, al primo posto ci sono i senza tetto, i mendicanti e i senza reddito, ovvero le categorie sociali più povere e sotto-proletarie, di cui sarebbe impresa ardua dare complessivamente un quadro dei procedimenti contro di loro, dato l’alto numero degli stessi. Altre categorie a cui spesso vengono affibbiati i fogli di via sono le seguenti, di cui facciamo qualche brevissimo cenno preso a campione. 

  ALLE PROSTITUTE – Il 4 agosto 2008 il questore di Rimini si è richiamato a due sentenze della Cassazione del ’96 che estendevano alle prostitute la legge del 1956 sui soggetti pericolosi e, come tali, rimpatriabili con foglio di via obbligatorio. Il questore Antonio Pezzano aveva applicato un emendamento che il presidente della Commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli, del PDL, aveva presentato al decreto sicurezza, ma che poi aveva ritirato in seguito alle polemiche che ne erano nate. Il questore di Rimini, applicando questa misura, nel solo mese di luglio aveva cosi’ emesso fogli di via obbligatori per 47 prostitute straniere. Fortunatamente per molte di loro il provvedimento decadrà a seguito dei ricorsi presentati al TAR. Vi è da dire che anche se la prostituzione non è reato (lo è solo l’induzione e lo sfruttamento della prostituzione) ed il riferimento al turbamento della morale pubblica è stato tolto nei criteri per l’applicazione del foglio di via, i Questori dimenticano spesso questo fatto e continuano scrupolosamente a perseguire chi si dedica alla professione che è detta la più vecchia del mondo.

 A ROM e SINTI – Nell’ottobre 2009 la questura di Cosenza disponeva 96 fogli di via dal  territorio italiano per altrettanti Rom abitanti nel villaggio sulla riva sinistra del fiume Crati. Scatta la mobilitazione delle associazioni antirazziste. I rom prendono la parola in prima  persona. Il tribunale di Cosenza accoglie i ricorsi contro i fogli di via. Sono cittadini europei comunitari e non si possono espellere dal territorio italiano. La cosa non ha impedito comunque che Procura e amministrazione comunale procedessero più volte a ripetuti sgomberi e tentativi di sgombero del villaggio rom sul fiume Crati e l’abbattimento delle case di fortuna. Prostitute e Rom, assieme agli stranieri comunitari (che perciò non possono essere espulsi con le procedure “normali”) continuano ad essere tra i soggetti più facilmente presi di mira da questi provvedimenti.

  AI “RAVER” – L’ultimo esempio di cui parliamo, vale la pena includerlo in questo sommario elenco poiché espressione di una ripresa degli spazi liberi dall’autorità, che l’autorità stessa reprime. I rave party sono feste “illegali” all’aperto o in spazi abbandonati frequentemente represse dalle forze dell’ordine. Un esempio sono i 37 fogli di via per la durata di un anno notificati a Ravenna a novembre 2012 ad altrettanti giovani (di cui quattro minorenni e che quindi non potrebbero legalmente essere destinatari di misure di prevenzione) identificati il 15 agosto dello stesso anno in un party organizzato nella pineta di Classe (Ravenna).

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Il giudizio di pericolosità sociale
Il giudizio di pericolosità sociale prevede una valutazione dell’intera personalità del soggetto, della sua condotta, dell’associazione con altri soggetti socialmente pericolosi, delle denunce per gravi reati, del tenore di vita non consono alle disponibilità economiche e di tutte le manifestazioni sociali della vita le quali possono anche consistere in comportamenti moralmente riprovevoli, privi cioè di rilevanza penale, ma idonei a legittimare presunzioni o anche semplici sospetti di pericolosità. Il giudizio di pericolosità teoricamente deve attenersi ad elementi di fatto e deve comunque essere oggettivamente motivabile; deve inoltre essere compiuto tenendo conto dell’attualità della pericolosità al momento di applicazione delle misure di prevenzione. Questo però non avviene quasi mai, e il ricorso al foglio di via avviene non tanto in base ad una supposta pericolosità pubblica ma secondo la necessità delle questure che possono sì colpire persone a loro invise o che il cosiddetto cittadino “perbene” non vuole vedere o sentire nei luoghi che frequenta.

Mostra tratta dall’opuscolo
“METTERE AL BANDO – STORIA ED EVOLUZIONE DI UNA MISURA INFAME CONTRO LE RIBELLIONI SOCIALI E LA DISSIDENZA POLITICA”,
stampato in proprio nel settembre 2013 in Romagna.
Riveduta e aggiornata ad aprile 2016