RADICAL MIGRANT SOLIDARITY [ITA – 2/4]

Parte 2 – I CONFINI TRA NOI

Le aree di frontiera come Calais o Ventimiglia, sono caratterizzate da una grande concentrazione di migranti, di mafiosi e di trafficanti e da un’intensa attività di polizia. I loro marcatori geografici sono porti o frontiere di terra, campi occupati e centri di detenzione. Sono incroci chiave dei percorsi di migrazione e delle vie del contrabbando, e perciò sono già stati al centro di percorsi di lavoro solidale.

Quando CSM ha iniziato a lavorare a Calais, nell’estate del 2009, il numero di migranti in città aveva raggiunto il suo picco, e gli ostacoli al lavoro di cooperazione erano più impegnativi. Allora circa 2.000 persone vivevano in campi occupati al, con più di 800 afgani in uno solo di questi. Il numero di bambini e adolescenti era elevato: quasi la metà dei 279 arrestati durante lo sgombero del campo afgano, a settembre, erano minori non accompagnati.

Il governo britannico stava delegando la guerra contro i sans-papiers – che si è manifestata nella continua persecuzione dei migranti, che prosegue ancora oggi – affidandola ai reparti di PAF e CRS.

Lo Stato francese dichiarò la sua intenzione di rendere l’area ‘migrant-free‘ entro la fine del 2009, il progetto venne realizzato nella forma di ripetuti arresti e della distruzione di campi e case occupate. Fu in questo contesto che gli attivisti No Borders si sono presentati ai migranti, hanno spiegato il loro intenzioni, e hanno tentato di superare le diffidenze.

Supponendo di lavorare sulla base dei principi precedentemente descritti, e di avere una comprensione relativamente buona della situazione in cui siamo coinvolti, rimangono tuttavia un certo numero di altri potenziali ostacoli nel lavoro con i migranti privi di documenti.

Ne analizziamo quattro che abbiamo incontrato a Calais.

Fiducia

Poichè la sfiducia può essere un meccanismo chiave di sopravvivenza per i sans-papiers, è molto importante evitare di fare domande inutili. Si può essere tentati di farlo, soprattutto se siete nuovi a un posto e vi sentite nervosi o a disagio. Non solo è irrispettoso, ma rischia di farti apparire ai loro occhi come un poliziotto.

A Calais, conquistare la fiducia dei migranti è stato il problema più grande e più ricorrente all’inizio del nostro percorso, per una serie di ragioni.

Come accennato in precedenza, al tempo c’era un numero maggiore di migranti nella zona, e la maggior parte di loro erano giovani uomini afghani che parlavano poco inglese. Questi ostacoli linguistici hanno reso difficile la comunicazione e ci sono voluti diversi mesi per sviluppare relazioni individuali. In più c’era la nostra inesperienza, la popolazione in continuo cambiamento, e il fatto che

il campo Pashtun (afgano) campo era sotto il controllo della mafia, la quale diffondeva spesso false notizie e voci negative su di noi.

E’ importante comprendere il contesto in cui sorgono questi tipi di problemi per raggiungere un rapporto di fiducia e godere di buona reputazione tra i migranti. Dobbiamo sempre supporre c’è accadono molte più cose di quante riusciamo a controllarne, e accettare che non abbiamo bisogno di sapere tutto. Consigliare alle persone di non rivelare più informazioni del necessario può essere anche un modo rapido per costruire fiducia.

Oltre alla curiosità eccessiva, un altra cosa che aumenta la sfiducia nei vostri confronti è l’utilizzo di apparecchi per foto e video in presenza di migranti, che potrebbero scambiarvi per giornalisti. A Calais usiamo le telecamere solo per monitorare la polizia, e questo è chiaramente spiegato ai migranti. Fotografare i migranti irregolari, soprattutto quando vivono per le strade, è un’altro degli atteggiamenti che aggravano una situazione già di per sè debilitante. Molti simpatizzanti sembrano non capirlo e gli attivisti non dovrebbero esitare a spiegare perché è inadeguato fotografare o filmare persone.

Allo stesso modo, non lavoriamo pubblicamente con i giornalisti a Calais, neanche con quelli amici, perché consideriamo troppo elevato il rischio per le nostre relazioni. Giornalisti, ricercatori e fotografi spesso cercano di usare noi come intermediari, ci chiedono di presentare loro i migranti, e dobbiamo spesso lottare con loro per chiarire quando i migranti non vogliono essere intervistati, fotografati, o filmati.

Nel particolare contesto del lavoro con i rifugiati, abbiamo scoperto che l’associazione con fotografi tende a non essere compatibile con il nostro attivismo. A meno che i migranti non abbiano espressamente chiesto l’attenzione dei media, le nostre ragioni per essere lì devono rimanere inequivocabilmente chiare alla popolazione in continua evoluzione.

Privilegio

Abbiamo bisogno non solo di riconoscere il nostro privilegio e sfruttarlo, ma di farlo in un modo che sfida le gerarchie esistenti. A volte, sarà dolorosamente evidente a tutti che vi è un enorme divario tra noi, anche se stiamo cercando di creare le condizioni per demolire le gerarchie.

E ‘difficile non sentirsi in colpa ad essere i soli, nel campo, a non dover fuggire dalla polizia, i soli a potersi ritirare in un posto sicuro per fare una doccia calda e bere una tazza di tè, quando ci sentiamo stanchi, i soli a poter infine tornare a casa quando ne abbiamo abbastanza.

Alcuni ritengono che la cosa moralmente giusta da fare sia mostrare solidarietà diretta restando sul campo con i migranti, dormire nelle giungle, mangiare lo stesso cibo, e così via. Questa è una parte importante del nostro lavoro a Calais, non possiamo dimenticare che è il fatto di avere questi privilegi rende possibile il nostro lavoro. Tuttavia, non sono solo gli attivisti sul campo a fare la differenza, ma anche quelli che organizzano benefit, raccolgono denaro e rifornimenti, e pubblicizzano la campagna organizzando serate di informazione. Anche se può dare la sensazione di non fare abbastanza, è comunque una parte importante del lavoro: non si può mantenere una presenza efficace a lungo termine senza un posto dove stare, o provare a rimediare alle carenze degli enti di beneficenza senza il denaro e i materiali raccolti dai compagni che lavorano a casa.

Non è possibile rinunciare al privilegio finchè si posseggono ancora uno o più dei tratti che ti rendono superiore ai migranti, agli occhi delle autorità. Quello che è importante è lottare per un mondo senza queste gerarchie … e se possiamo usare la nostra posizione per sovvertire particolari privilegi, allora perché non farlo?

Di tanto in tanto, le amicizie tra europei e migranti si sviluppano con enormi disuguaglianze pratiche che possono complicarsi, in particolare in termini di dipendenza. È naturale e meraviglioso non controllare le amicizie a Calais, ma è importante tenere alcune cose in mente. Prima o poi, attivisti e migranti, partiranno lasciandosi alle spalle amicizie e relazioni. E’ confortante l’idea che i nostri amici riescano ad attraversare il confine, ma una volta dall’altra parte non sarà facile mantenere i contatti.

Ma spesso dopo mesi di permanenza al campo sono ancora lì, depressi, disillusi, o forse anche risentiti della tua libertà. Quando arriva il momento di ripartire, ci sono domande inevitabili: “Tu sei libero, puoi venire qui ogni volta che vuoi – io non ho nulla, quindi perché non rimani qui con me?

Quando si tratta di persone vulnerabili, soprattutto se sono giovani, vale la pena pensare a quale effetto queste dipendenze possono avere. Se si può parlare la stessa lingua e discutere delle difficoltà della situazione è un conto, ma in luoghi come Calais è facile arrivare a conoscere persone abbastanza bene con solo poche parole in comune. Telefonarsi ogni pochi giorni è un modo di mantenere un rapporto di amicizia, ma resta la questione degli effetti di una crescente dipendenza se la persona non riesce ad attraversare il confine per mesi o anni.

Tutti i rapporti mutano, la comunicazione e le aspettative cambiano notevolmente, e possono nascere splendide amicizie. Ma portare ogni rapporto a questo livello può condurre a complicazioni. Anche se rispettare la vulnerabilità della persona non significa necessariamente sviluppare meno solidarietà reciproca o una relazione meno positiva, tuttavia, data la nostra posizione privilegiata, vi è più onere su di noi per quanto riguarda la comprensione e il rispetto delle esigenze di persone che vivono nella privazione e hanno subìto traumi.

E’ importante riconoscere il privilegio e valutare i suoi effetti sulle nostre relazioni, ma è anche inutile, semplicistico e ingenuo inserire in blocco i sans-papier in una singola classe di soggetti svantaggiati.

Inutile perché può indurre nei migranti un senso di vergogna per la propria condizione o atteggiamenti di deferenza verso gli europei in genere. Distinguere le persone esclusivamente secondo la scala dei privilegi ignora l’umanità di quelli con cui stiamo lavorando, e contribuisce a rafforzare le divisioni.


E’ anche ingenuo perché il privilegio esiste in varie forme, come i privilegi di genere o economici. I campi a Calais sono quasi esclusivamente di sesso maschile; in molte delle strutture sociali dei paesi di origine dei migranti le donne vengono generalmente lasciate indietro o sono incapaci di finanziare e organizzare il proprio viaggio. Le donne migranti sono quindi una netta minoranza nelle giungle, e corrono più rischi per le strade se vengono separate dai loro compagni maschi, come spesso avviene.

Inoltre molti migranti in transito in Europa sono relativamente benestanti nei loro paesi poiché questi viaggi costano migliaia di euro. Ci sono anche migranti ricchi che non possono ottenere un visto per altri motivi, come pure coloro che realizzano un profitto trafficando alla frontiera.

C’è un certo filone del discorso antirazzista militante, negli Stati Uniti in particolare, che suggerisce che tutti i bianchi siano intrinsecamente razzisti, e alcuni, come il collettivo Dissenso Europeo, sostengono addirittura che chi combatte il razzismo dovrebbe accettare una leadership nera. Questa retorica è controproducente e carica di liberalismo radicale e di politica della colpa. Il concetto di razzismo innato dei bianchi e il suggerimento che dovremmo accettare una gerarchia perché al vertice ci sono le minoranze più svantaggiate non solo rispecchia un atteggiamento condiscendente ma perpetua distinzioni sulla base del colore, così come il più ampio e più fondamentale problema della gerarchia stessa. Un’analisi così estrema non ha trovato molto riscontro tra i No Borders in Europa, abbiamo occasionalmente incontrato prospettive che compensavano il privilegio attraverso reticenza e inazione in modo da consentire ai migranti di prendere l’iniziativa. Non vi è nulla di male nel fare sforzi supplementari per lavorare in modo più inclusivo possibile, ma dobbiamo diffidare da qualsiasi approccio che esprima senso di colpa o che comporti di tenere per noi le nostre opinioni in cambio del privilegio. Noi siamo intenzionati a lavorare da pari, senza mai deferire agli individui sulla base della classe o etnia.

In definitiva, è importante rendersi conto che i migranti sono persone ordinarie in circostanze straordinarie, con il proprio bagaglio culturale o di altro tipo, e dobbiamo quindi essere cauti nel valorizzarli. Lavorare da pari a pari significa non parlare verso il basso alla gente, ma significa anche rifiutare i comportamenti irrispettosi. Se il rispetto non è ricambiato e lo portiamo avanti a prescindere, allora non siamo fedeli alle nostre convinzioni.

Ma dobbiamo anche essere cauti nel giudicare il comportamento secondo le nostre norme culturali. Per esempio, mentre il pregiudizio è normalmente diffuso anche tra i migranti, i sospetti, le antiche ostilità e le tensioni etniche non si sviluppano nel vuoto. Capita che gli unici incontri tra afgani e kurdi siano esperienze negative. Dallo sfruttamento mafioso alle rapine sulle strade di Iran e Turchia al sequestro di bambini afgani in transito per estorcere denaro ai loro genitori: queste esperienze non sono rare tra i migranti irregolari. Mentre è bene sfidare i pregiudizi, tutte le ostilità inter-etniche dovrebbero essere lette in questo contesto.

Differenze culturali

I confini possono essere melting pot pieni di opportunità di scambio interculturale. Questo rimane uno degli aspetti più belli e vitali del lavoro con i migranti.

Il rovescio della medaglia è che, mentre noi non ci aspettiamo di conformarci alle convenzioni culturali dei migranti quando viviamo nelle comunità, sarebbe ingenuo pensare che le persone non abbiano interiorizzato alcuno dei valori prevalenti nei loro paesi di origine.

Ciò significa che le attiviste di sesso femminile, in particolare, devono considerare le convenzioni presenti in questi paesi, ed evitare di indossare abiti succinti o abbracciare amici migranti pubblicamente, poiché sono segni che possono confondere. Per quanto ci piacerebbe vedere la fine simultanea dei controlli sull’immigrazione e del patriarcato, dobbiamo accettare questi compromessi se vogliamo seriamente impegnarci con i migranti in una lotta per la libertà di movimento.

Questo suggerimento è stato criticato da alcuni e indicato come sessista. Siamo d’accordo che si tratta di sessismo, ma questo è solo un riflesso di atteggiamenti prevalenti nella società, da cui i migranti non sono affatto magicamente immuni. Che alcune persone, a prescindere dal luogo da cui vengono, percepiscano un abbraccio come un approccio, è una realtà di vita che noi dobbiamo aggirare se vogliamo affrontare quello che è già un incredibilmente complesso e profondo problema, che non ha bisogno confusione aggiunta esclusivamente per fare appello alla sensibilità radicali degli attivisti.

Questo argomento solleva un’altra questione spinosa, che è quello della responsabilità verso gli altri membri delle nostre comunità. Coloro che scelgono di essere affettuosi e fisici con i migranti (amici e non) di fronte agli altri, devono prendere in considerazione le implicazioni su altri membri del gruppo. Ricordate di essere osservati da persone con una limitata conoscenza dell’Inglese e che si baseranno quasi esclusivamente sul vostro comportamento nel giudizio su di voi. Questo potrebbe influenzare la percezione del gruppo e mettere in ombra le ragioni della nostra presenza essere lì.

Questo non significa che dovremmo semplicemente accettare i comportamenti impropri. Anche se raramente, a Calais ci siamo occupati di un numero di casi di comportamenti o commenti sessuali inappropriati discutendone gli con gli autori in presenza di altri membri della loro comunità, spiegando chiaramente che cosa stiamo facendo a Calais e perché abbiamo sentito che il loro comportamento era irrispettoso. Altri migranti ci hanno sostenuto in questo.

E’ anche con l’esempio che si realizza il rispetto. Come detto, in circostanze difficili o disperate le persone possono essere più aperte a nuove idee, e molti dei No Borders impegnati a Calais sono donne. Anche una superficiale ricerca sui costumi dei paesi di origine può aiutare a capire il motivo per cui non dovremmo prevedere le stesse reazioni che ci aspetteremmo dagli europei. L’Afghanistan, per esempio, ha un sistema di rigorosa segregazione di genere, con le donne e gli uomini che non interagiscono al di fuori della famiglia.

Si può essere tentati di passare più tempo con le comunità con cui sentiamo maggiori elementi in comune, o maggiore vicinanza culturale. Poter condividere alcune birre con i migranti eritrei ed etiopi – a maggioranza cristiani – significa legare con loro più rapidamente che con alcuni dei migranti musulmani, a meno di non fare uno sforzo consapevole per avvicinarci ad altre comunità, nonostante sia richiesta una mole di lavoro maggiore.

E’ naturale essere inclini a trascorrere il tempo con coloro con i quali condividiamo degli interessi, ma dobbiamo stare attenti a non cadere nella trappola del favoritismo. Alcune comunità possono essere colpite più duramente di altri, o affrontare più difficili condizioni di vita; ed è questo che in definitiva dovrebbe orientare il flusso dei nostri sforzi. Dobbiamo lavorare per favorire legami tra le diverse comunità, se siamo determinati a superare i confini, anche se le consuetudini possono rendere ciò molto complicato.

Un’altra cosa importante è non dare inconsciamente la preferenza a quelli con più capacità di comunicare con noi.

Abbiamo registrato un numero di incidenti in cui l’interprete ha agito come portavoce. In tutte le occasioni tra i migranti si è diffusa la frustrazione, hanno criticato il loro traduttore o scelto qualcun altro, ma sono stati gravemente ostacolati nella loro capacità di comunicare a causa del loro numero e dei limiti di tempo.

Analogamente, lavorare con intermediari dovrebbe essere una scelta considerata con molta attenzione, tanto più che molti migranti non sono in realtà parte di una particolare comunità ma in possesso di qualche qualità che permette loro di diventare una sorta di portavoce.

L’importanza dell’onore e della vergogna in molte società mediorientali è spesso trascurata dagli operatori, che sono troppo distaccati da quelli con cui lavorano. Vale la pena ricordare che alcuni preferiscono rimanere senza cibo se trattati con mancanza di rispetto, come è stato illustrato durante il maleducato e condiscendente trattamento di migranti sudanesi da parte di un ente di beneficenza a Calais che ha portato a una breve boicottaggio del loro programma di distribuzione del cibo.

La cultura dell’onore è anche un altro motivo per cui un approccio basato sulla solidarietà può generare relazioni più forti e durature di uno fondato sulla carità. Vale la pena considerare che la nostra cultura agisce come una barriera potenziale al lavoro con i migranti. Per quanto abbia attrattiva e risonanza politica, la cultura DIY può essere estremamente esclusiva.

Siamo a conoscenza di un evento di solidarietà, progettato per attrarre circa duecento richiedenti asilo afghani, con birra e assordante musica punk. Non sorprende che solo un gruppetto fosse presente. Le donne in topless al campo No Borders di Calais sono un altro esempio, ed probabilmente anche un altro segno dell’imperialismo culturale.

Mafia

La mafia è generalmente ostile agli attivisti, in quanto ha bisogno di mantenere migranti in uno stato di dipendenza per ottenere profitto.

A Calais, dove abbiamo cercato di incoraggiare l’autonomia dei migranti, la mafia ci ha subito visto come una minaccia. Sfruttavano sfiducia e paure della gente così come i nostri ostacoli linguistici nel tentativo di danneggiare le relazioni. Ciò comprendeva la diffusione di voci secondo cui noi lavoravamo per la polizia, e che tutte le attiviste erano prostitute.

E’ facile bollare tutti i trafficanti come sfruttatori, e molti in effetti lo sono. Anche se questa è l’immagine prevalente spacciata dalla stampa aziendale, la situazione è molto più complessa, e dobbiamo accettare che ci siano un sacco di informazioni di cui non veniamo a conoscenza attraverso i media ufficiali.

In primo luogo, la linea di distinzione tra migranti e mafia è confusa e irregolare. La mafia gestisce un’economia sommersa ai cui le persone ricorrono quando rimangono alla frontiera troppo a lungo e a corto di soldi, dal momento che altre possibilità di guadagno vengono loro precluse. Rete di migranti e mafia significa che non c’è un gruppo di individui temuti e violenti, ma un assortimento di persone ordinarie e disperate con vari gradi di coinvolgimento.

In secondo luogo, i trafficanti hanno avuto un grande successo nel distorcere i confini politici e nel minare i controlli sull’immigrazione. Hanno esperienza e sono altamente organizzati in reti fluide, costantemente in evoluzione e sopravvissute ai tentativi dello Stato di respingere gli individui.

Con questo non vogliamo idealizzarli, ma cercare comprensione più approfondita di ciò che sono i contrabbandieri, e il loro ruolo fondamentale dell’immigrazione irregolare. Una volta che arrivano a conoscervi, probabilmente non vi vedranno più tanto come una minaccia. Perseveranza e attenzione a non assumere comportamenti che potrebbero far sospettare un vostro coinvolgimento con la stampa o con la polizia, faranno scomparire la maggior parte dei problemi con il tempo.