Deportazioni, torture e rastrellamenti: l’Italia in prima linea

Idomeni. Calais. Lampedusa. Ventimiglia: in questi ed altri luoghi di confine sono attualmente bloccate migliaia di persone, profughi e migranti in fuga da guerre, torture, sofferenze, povertà. La Grecia, che, in virtù degli accordi stipulati tra Europa e Turchia di Erdogan, deporta verso i campi di concentramento della Turchia; la Francia, che disperde i migranti assiepati a Calais in centri isolati nelle campagne; l’Italia che riempe pullman privati e aerei delle Poste italiane di migranti portandoli negli hotspot o nei c.i.e. italiani al fine di identificarli e ributtarli in strada come clandestini.

E’ questo l’agghiacciante scenario europeo fatto di frontiere militarizzate, campi di concentramento, rastrellamenti, torture, deportazioni. Ma soffermiamoci sulla situazione italiana, che proprio in questi ultimi giorni si è resa protagonista di violenze e discriminazioni. Qualche giorno fa Ioculano, il sindaco di Ventimiglia, ha ordinato lo sgombero dell’accampamento provvisorio sul fiume Roja, schierando un enorme dispositivo di forze dell’ordine per catturare e deportare i migranti in attesa di passare il confine. Lo sgombero non è stato effettuato poiché questi hanno deciso di proteggersi, spostandosi. In quelle ore di tensione la repressione non ha colpito solo i migranti, ma anche le persone generose accorse in loro solidarietà, a cui sono stati notificate denunce e fogli di via, mentre pullman e aerei attendevano di essere riempiti, mentre nelle stazioni dei treni di Genova venivano effettuati controlli e rastrellamenti ai danni di persone di colore che cercavano di raggiungere il confine.

La domanda, retorica, che ci viene in primis da fare è: queste persone in fuga da guerre e situazioni di miseria create da decenni di devastazioni e sfruttamento da parte dei paesi europei, cosa dovrebbero fare? Immaginatevi di dover scappare da bombe e torture, dal Boko Haram, attraversare deserti, finire nelle carceri della Libia, scampare alla furia del Mediterraneo su barconi di fortuna che troppo spesso affondano, perdere la famiglia, amici, guardare gli occhi di chi affoga ed essere salvi per miracolo. E poi arrivare quasi a destinazione e, stanchi, bussare alle porte delle Fortezza Europa. E di nuovo essere repressi, incarcerati, torturati, manganellati, deportati contro la propria volontà in luoghi distanti, che azzerano i preziosi chilometri guadagnati. E poi vagare in terre sconosciute con l’etichetta di irregolare, di clandestino. E magari, alla fine, morire a pochi passi dalla meta, soffocati dentro un camion che varca la Manica.

Subito dopo gli attentati di Parigi ci è stato detto che la guerra era arrivata a casa nostra, che si apriva un fronte interno alla Fortezza Europa della guerra endemica che imperversa in due terzi del pianeta; bene gli atti di rastrellamento, deportazione e tortura inflitti dalla polizia italiana e dai militari dell’esercito a Ventimiglia come altrove sono palesemente parte di questa guerra in corso sotto i nostri occhi. E’ la guerra di cui il capitalismo si nutre giorno per giorno, distruggendo tutto ciò che incontra. Chi semina vento raccoglie tempesta e violenza chiama violenza, per cui inevitabilmente chi oggi rastrella, deporta, tortura, domani non potrà che ricevere la stessa moneta in cambio. E’ ipocrita e antistorico scandalizzarsi; ed è ridicolo appellarsi alla difesa della “nostra” libertà, negata così sfacciatamente a milioni di persone.

Un’importante pensatrice del secolo scorso, Hannah Arendt, assistendo nel 1960 al processo contro alcuni dei principali responsabili delle deportazioni degli ebrei nei campi di concentramento, e quindi del relativo genocidio, parlò di “banalità del male”, ovvero del fatto che questi signori che si difendevano dicendo che negli anni del nazismo si erano limitati a fare il loro lavoro, obbedendo agli ordini dei superiori, non fossero dei mostri o dei pazzi, ma delle persone normali, degli impiegati di una catena di montaggio parte di una enorme fabbrica, che si erano semplicemente piegate alla banalità e alla normalità della vita e del lavoro che gli erano stati imposti dalla società dell’epoca.

La storia oggi si ripete: quando sono gli aerei col marchio rassicurante delle Poste italiane a deportare persone; quando sono sindaci di piccole località che emettono ordinanze dalle ricadute così pesanti sul destino delle persone; quando sono le cosiddette forze dell’ordine che applicano retate basate su una palese discriminazione razziale; è in momenti storici come questo che si avverte l’urgenza di non poter più stare a a guardare senza aspettare che un giorno ti vengano a chiedere perché avevi assistito senza intervenire. Davanti a un mondo così complesso, a situazioni così urgenti e pericolose, a scenari così agghiaccianti, crediamo che chiunque debba con i propri mezzi provare ad inceppare questo meccanismo di sofferenza e morte. E questo non per mera solidarietà o umanitarismo verso i dannati della terra, ma perché quanto sta accadendo riguarda tutti. La restrizione delle libertà che oggi si concentra su migranti e profughi sta già stringendo il cerchio su tutti.
In Francia se ne sono accorti.

La rete No Borders lotta contro le politiche della fortezza Europa, contro il capitalismo, in solidarietà ai migranti e per la libertà di movimento per tutti. La lotta ha bisogno di energie e contributi, organizzati con noi.

Assemblea ogni martedì ore 19 presso Pellicceria Occupata, a metà di via San Luca, Genova.

Rete NoBorders Genova

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